Allora Sbancor, quale lezione proviene dal crac Parmalat?
La prima lezione è che non bisogna mai fidarsi di quello che si legge sui bilanci. Come sta emergendo, probabilmente nel caso Parmalat i bilanci sono falsi da più di quindici anni. Daltra parte non si spiegherebbe il valore di un buco così grande, intorno ai 14 miliardi di euro, se non si pensasse ad una falsificazione che affonda nel tempo. La seconda lezione: in quella che chiamiamo la società dell’informazione le informazioni finanziarie non si hanno. Non le ha ovviamente chi va a sottoscrivere le obbligazioni allo sportello delle banche. In alcuni casi non le ha completamente neppure la banca stessa. Anzi, direi che abbiamo costruito un bel meccanismo per la produzione del falso. Meccanismo che si regge su un intreccio di interessi. Che vanno dalle ambizioni di carriera del giovane ragazzo che deve collocare le azioni Parmalat a interessi più sostanziosi i quali hanno a che fare con gli schieramenti politici e le filiere di appartenenza dei vari potentati. Nessuno sa esattamente quello che succede. Ognuno dà il suo contributo perché il falso abbia ragione sul vero, perché la moneta cattiva scacci quella buona.
Tuttavia nel caso Parmalat si discute molto su chi sono i colpevoli
Da banchiere dico: tutti sono colpevoli. Non c’é nessuna delle persone e delle istituzioni in qualche modo coinvolte nella vicenda che non abbia messo un piccolo tassello di falso nel grande falso che è stato confezionato dai ragionieri di Collecchio.
In genere quando la colpa é del sistema il colpevole non si trova
Mi sembra che nel dibattito sulla colpa del crac Parmalat si litighi essenzialmente su chi debba essere il capro espiatorio. Alla fine si sacrificheranno una, forse due teste. Poi il mondo tornerà alla sua falsa normalità.
Per il futuro i piccoli azionisti come possono fidarsi e quali contromisure possono prendere?
Mi viene da dire una battuta: per essere azionisti non bisognerebbe mai essere piccoli. Il vero problema è che in questo venale rincorrere la ricchezza tutti pensano di conoscere tutto sul capitalismo, le imprese, le banche. Poi ogni tanto sbattono il muso. In realtà la psicologia del piccolo azionista o del piccolo risparmiatore è imbattibile. Quando gli offrivano bond argentini a un tasso del 16-17%, mentre in Italia al 10% scattava il tasso di usura, è mai possibile che a qualcuno non venisse in mente che se risparmia il 16% perché probabilmente si ha intenzione prima o poi di smettere di pagare? Il piccolo azionista o il piccolo risparmiatore dovrebbe innanzitutto essere meno avido. L’avidità è la causa di tutti questi mali. La grande avidità di Tanzi, dei banchieri ma anche la piccola avidità del piccolo azionista.
Daccordo, ma oggi cosa si può dre?
Prendere delle precauzioni adesso è come chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Lo sanno tutti che non si può puntare su un solo titolo, che quando si fanno investimenti a rischio bisogna diversificare. Se proprio uno ha limpellente voglia di puntare sui mercati sud-americani quantomeno dovrebbe prendere Brasile, Argentina e Cile in modo che se perde in Argentina si rifà con gli altri due Paesi. Qui invece siamo spesso davanti a casi di gente che ha comprato solo obbligazioni Parmalat, Cirio o Argentina. Siamo al livello di andare al casino a puntare tutto sul rosso o sul nero e se si perde prendersela con il croupier.
Cosa spinge un risparmiatore a puntare tutto su un unico titolo?
Non bisognerebbe mai farlo. A meno che non stia tentando una speculazione. Cioè che per qualche motivo, una voce, qualche calcolo, quell’azione debba improvvisamente salire del 100% nel giro di pochi mesi. E l’unica spiegazione. Nel caso Parmalat le azioni erano un po basse rispetto al valore dichiarato dellazienda. Ma erano altissime rispetto al vero valore dellazienda. Però qualcuno poteva cascarci pensando che presto le azioni Parmalat sarebbero risalite.
Lei ha centrato su un sentimento particolare come l’avidità uno dei motivi per i quali il piccolo azionista cade in queste trappole. Tuttavia, ci sono anche piccoli risparmiatori che investono i loro pochi risparmi perché gli interessi bancari sono ridicoli mentre linflazione reale è al l 5% e oltre…
C’è una differenza tra i giochi in Borsa e il piccolo investimento in una polizza a vita o in un fondo comune. Anche in questo caso può andar male. Ma entro certi limiti. Però non è questo il punto. Quello che tutti dobbiamo ricordarci è che abbiamo alle spalle la caduta delle Borse di Wall Street nel 2002 che è stata pari a quella del 1929. Sembra che da questa caduta nessuno abbia tratto qualche conseguenza. Mentre gli spettri che ancora adesso si aggirano sul mercato dei capitali possono provocare perdite elevatissime. Il punto è che il processo di distruzione di ricchezza iniziato con la crisi di Wall Street non si è ancora fermato.
Si riferisce soprattutto al crollo della new-economy?
Enron era tutto tranne che new-economy. E un crollo generalizzato. Alla new-economy in quanto tale non ho mai creduto molto. E vero che c’è stata la rivoluzione tecnologica però un economista dovrebbe sapere che quando ci sono cicli di forte innovazione tecnologica probabilmente i prezzi calano. E se i prezzi calano senza che ci sia una domanda che li tiene su possono anche crollare e produrre crisi. Queste cose si sanno dal 1930. Uno dovrebbe guardare a quello che gli sta succedendo intorno prima di lanciarsi in speculazioni. L’unica cosa su cui in questi ultimi tempi si è siicuramente guadagnato è l’oro. Che nel giro di qualche anno ha raddoppiato il suo valore passando da 200 a più di 400 dollari l’oncia. Il che la dice lunga sul livello di preoccupazione allinterno delleconomia, perché l’oro è l’ultimo degli investimenti, il bene-rifugio per tradizione.
Secondo lei dobbiamo aspettarci altri crac?
Non so se in Italia e se in tempi brevi. Però la situazione è di quelle che possono portare grandi crac. In fondo noi abbiamo visto i tracolli americani. Ma non abbiamo visto grandi crac europei. Stanno cominciando adesso e sono il lascito della crisi di Borsa di Wall Street. Daltra parte, oggi nessuna azienda italiana naviga nelloro. Tutte presentano qualche punto di debolezza. Una congiuntura particolarmente negativa, il rialzo del prezzo di materie prime, il crollo di qualche banca può benissimo provocare altre crisi come quelle di Cirio e Parmalat.
Per coloro che vivono con uno stipendio o un salario quali prospettive ci sono?
Le prospettive sembrano bruttine. Nel senso che la caratteristica di questa, tra virgolette, ripresa che c’è negli USA e molto meno in Europa, ci dice che i ricchi diventano pi ricchi e i poveri pi poveri. Oggi il salario minimo USA è sui 6,50 dollari l’ora. Se in termini di potere d’acquisto dovesse essere portato a quello degli anni 70 dovrebbe passare a più di 18 dollari. Quindi c’è un impoverimento crescente del reddito fisso e di tutte le attività salariali a fronte di una remunerazione molto forte invece di chi ha redditi da capitale o non legati al lavoro. Il che conferma il vecchio detto, e la mia assoluta certezza, che lavorando non si fanno mai i soldi.
Mi sembra confermi anche la teoria del bipolarismo tendenziale del sistema capitalistico per la quale la società si diverà sempre più tra una classe di super ricchi e molti tipi di poveri>
Questo però non è stato vero per un periodo della storia del capitalismo, che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino a tutti gli anni 70. Ricomincia ad essere vero oggi che con il neo-liberismo è tutto un andare indietro, verso gli anni 20 e 30. Diciamocelo francamente: il modello in cui i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri E il ritorno a un vecchio capitalismo cattivo e selvaggio, che va dalla fine dell800 fin dopo la Prima Guerra Mondiale. Con tutti i rischi sistemici che si correvano allora. Se si guarda la storia anche in quell’epoca cerano grandi crac, nazioni non industrializzate che fallivano, improvvise crisi di liquidità e così via. Insomma la teoria del bipolarismo tendenziale potrebbe essere vera o falsa. Non voglio entrare nel dibatto. Certo, è che stiamo facendo di tutto per renderla vera.
Per anni si è parlato di cultura d’impresa. Poi abbiamo assistito alla proliferazione dei paradisi fiscali, alla diffusa evasione fiscale e contributiva e ora a vari crac, da Enron a Parmalat. E questo il vero volto del capitalismo?
La caratteristica dell’impresa è quella di cercare di arricchirsi impoverendo gli altri. Gli altri a volte sono i concorrenti, a volte i soci, a volte i dipendenti. L’idea che ci sia una cultura dimpresa dove tutto è rose e fiori non è mai stata vera. Tranne forse nelle attività statali che poi scaricavano sul pubblico le proprie inefficienze. Nell’attuale capitalismo non ci può essere etica perché il livello della competizione è troppo duro. La stessa globalizzazione, ossia lentrata sul mercato del lavoro di concorrenti che pagano i salari un decimo rispetto a quelli di in un Paese occidentale, provoca un rimescolarsi di carte assolutamente incredibile. E così improvvisamente scopriamo che le Cayman hanno un giro daffari che forse è più grande di quello di una media nazione industrializzata. Il paradiso fiscale una volta era per pochi. Oggi sta diventando la casa celeste di tutti i capitalisti. Recentemente il Sole 24 ore ha pubblicato un dato: 486 società italiane quotate in Borsa hanno filiali nei paradisi fiscali. Una marea per il nostro sistema.
Ora che è caduta qualche maschera continuerà l’operazione ideologica dell’imprenditore gran lavoratore e distributore di ricchezza?
Con una bella faccia tosta credo che continueranno a sostenerlo. Nessun articolo che io abbia letto sui recenti crac ha parlato di crisi di sistema. Dicono una cosa che in fondo è sacrosanta: nel capitalismo queste cose succedono. Certo Tanzi non era uno stinco di santo, ma nessuno se ne è accorto prima e gli altri non sono delinquenti. E così che tratteranno la cosa. Neanche nel caso di Bophal, quando un’industria chimica in India ammazzò duemila persone, qualcuno ebbe il coraggio di dire che forse quelle industrie chimiche sono incompatibili con la razza umana. In Italia sono stati assolti i dirigenti della Montedison del petrolchimico di Porto Marghera. Non c’è percezione del danno quando si colpisce la salute figuriamoci quando si tratta del portafoglio.
Dagli anni 80 ad oggi la politica è sempre più ridotta ad ancella dell’economia. I crac e la polarizzazione tra ricchi e poveri può restituire un ruolo alla politica?
Purtroppo credo di no. Addirittura un conservatore nell’animo come John Le Carré nel suo ultimo romanzo si è accorto che la politica estera la fanno le corporation e non i governi, e stiamo parlando dei governi USA e britannico non delle burlette italiane. Per restare a casa nostra basta accendere la Tv e sintonizzarsi su una trasmissione di Bruno Vespa per rendersi conto della pochezza della politica rispetto alla complessità del mondo. Pensare che quei signori possano risolvere qualcosa è veramente incredibile. Infatti, sempre più gente non va a votare. E’ difficile pensare che il teatrino della politica, in Italia come altrove, riesca a mettere a posto un mondo organizzato da corporation che hanno al loro interno intelligenze di molto superiori. Anche intelligenze criminali ma comunque di molto superiori. La politica degli schieramenti, quella parlamentare penso possa assai poco. Molto di pi può politica di movimento, quella che abbiamo visto da Seattle in poi e che cambia il modo di rapportarsi delle persone con questi eventi.
Allora non c’è speranza?
Una speranza c’è e viene dalla gente. Più o meno in tutto il mondo le persone cominciano a pensare che questo ritorno indietro del capitalismo sia pi foriero di guai che di benessere. In fondo il capitalismo si è sempre legittimato, e a volte con ragione, dicendo: ti do maggiore benessere, maggiori consumi. Oggi non solo abbiamo i problemi storici del capitalismo ma anche il problema che non avremo più la seconda macchina, forse neppure la prima. E se uno non sta attento perde pure la casa. In Italia sono moltissimi gli immobili che vanno in asta giudiziaria perché non si riesce più a pagare i mutui. Qui scoppia una contraddizione forte. Questo capitalismo si è affermato promettendo ricchezza a ciascuno. Però è una promessa che non può mantenere. Anzi sta facendo di tutto per dimostrare che non la manterrà.
Lo storico statunitense come Immanuel Wallerstein ha affermato che il capitalismo non morirà per i suoi insuccessi ma per i suoi successi…
Non so se in questo caso Wallerstein abbia ragione. A me sembra che l’attuale capitalismo sia una macchina ancora per molti versi sconosciuta. Sono avvenute delle trasformazioni fondamentali. Una volta al massimo di faceva la guerra per le materie prime, i pozzi di petrolio. Oggi la guerra è diventata un motore dello sviluppo capitalista. Da quando gli Usa sono entrati in guerra contro il terrorismo, che potenzialmente è una guerra a tutto il mondo, gli investimenti in spese militari hanno fatto rialzare il PIL di quel Paese in maniera incredibile passando dalla crisi alla ripresa. Purtroppo un meccanismo del genere può durare molto. Questo è un capitalismo che produce sempre più catastrofi. Ma alla catastrofe finale non credo, quantomeno non a breve termine. Preferisco pensare che prima della catastrofe saranno le persone ad accorgersi che bisogna cambiare stile di vita e il rapporto con il denaro. Il che vuol dire non subordinare alla ricchezza i valori del genere umano, dall’ambiente alle relazioni interpersonali.
l’intervista è stata pubblicata su ABC quindicinale di economia allegato al quotidiano il Domani di Bologna del 10 febbraio 2004
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finanza e società dell’informazione ognuno dà il suo contributo perché il falso abbia ragione sul vero, perché la moneta cattiva scacci quella buona. Sbancor è autore di saggi, esperto di economia internazionale lo abbiamo interpellato sulle recenti bancarotte di grandi aziende italiane e sul futuro del sistema capitalistico.