Il potere quello vero che trionfa, a chiudere di nuovo canzonette:
piroetta e via, prima serata, sigla, Sanremo è Sanremo. Un pezzo d´Italia
com´è, quella che mescola menestrelli e presidenti, audience e consenso:
tutto uguale. Questa è la storia della battaglia solitaria che da mesi,
senza che (quasi) nessuno alzi la mano per dire che succede, oppone un
senatore della Repubblica a un cantante degli anni Sessanta reduce di
un´epoca che sembrava finita e invece eccola qui, lustra e daccapo. Nando
Dalla Chiesa è figlio del prefetto Carlo Alberto, ammazzato dalla mafia 22
anni fa. Professore di sociologia economica, giornalista, scrittore,
politico. Tony Renis è quello di “Quando quando quando”, si chiama Elio
Cesari e sembra la figurina di una torta di matrimonio a sette piani, lo
sposo di bianco vestito, solo che ha quasi 70 anni. Negli anni ?80 era
“veramente molto amico di Craxi”, organizzava i concerti di Frank Sinatra
al Palatrussardi, mezzo milione a poltrona, Milano da bere, per il suo
matrimonio si presentò sulla macchina che era stata di Al Capone, la
famiglia Craxi tra gli invitati, è evidente. Oggi è “veramente molto amico
di Silvio Berlusconi”, l´estate scorsa gli ha portato Bocelli in villa, in
Sardegna, per allietare la serata con Vladimir Putin. Bocelli al microfono
e Tony al pianoforte a coda. Per sdebitarsi del figurone con Putin
Berlusconi gli ha proposto un paio di cose: l´istituto italiano di cultura
a Los Angeles, il festival di Sanremo. Renis, che è modesto, ha scelto
Sanremo.
Prima di essere molto amico di Craxi e di Berlusconi lo chansonnier
biancovestito era amico come fratello di Joe Adonis, fondatore della
Anonima assassini e della futura Cosa Nostra insieme a Frank Costello e Al
Capone. Era amico di John Gambino, condannato in Italia per traffico di
droga: la sua raffineria di Alcamo produceva quattro tonnellate di eroina
al giorno. Amici del cuore: “John è una persona squisita, un signore. Sono
stato anche quest´anno suo ospite: è generoso, è sempre il primo a esserti
utile. Se i nostri connazionali possono oltrepassare l´Oceano lo devono a
gente come lui, un piatto di minestra ce lo danno sempre”. Tutte cose note,
fastidiose però: guastano la festa, perciò zitti.
Nando Dalla Chiesa, che è senatore della Margherita e che di mafia si
occupa da molti anni, almeno da quando la morte di suo padre lo ha
costretto, si incuriosisce di tanto silenzio e si mette a fare quel che sa:
leggere le carte. Erano lì, in commissione Antimafia, dove lavora: a
disposizione. E´ andato a cercarle, ha trovato, ha scritto. A partire dalla
fine di settembre comincia a pubblicare sull´Unità articoli prima
divertenti (Tony Renis che chiede una raccomandazione al padrino vero Joe
Adonis per avere una parte nel “Padrino” finto di Coppola) poi via via più
seri, sempre documentati: Renis era amico delle famiglie mafiose dei
Gambino e degli Spatola e faceva avanti e indietro tra le loro ville (a
Palermo, a Staten Island) nei mesi dei finto sequestro Sindona. Era ospite
“nella villa hollywoodiana sui colli di Palermo di Rosario Spatola –
racconta lui stesso – nell´agosto del ?79″. Anche Sindona nell´agosto del
79 è in mano agli Spatola, a Palermo. Michele Sindona: delitto Ambrosoli,
assassinio di Boris Giuliano. Il giudice Ferdinando Imposimato qualche mese
dopo interroga Renis, gli chiede se conosce Sindona. Il nostro risponde di
no. Sindona racconta invece di averlo incontrato. Una volta di certo al
Pierre Hotel di New York, per esempio, in pubblico. La segretaria, Xenia
Vago, conferma. Imposimato arresta Renis per falsa testimonianza, Renis
ammette di aver conosciuto e frequentato Sindona: «Mi disse che un artista
italo-americano non poteva far nulla senza quelle persone», racconta il
magistrato. Il direttore artistico di Sanremo era il produttore di Nikka
Costa, al tempo. Uscì dall´interrogatorio dicendo: «Io canto solo per la
Warner Brothers, non canto altrove». Non aveva cantato, lo ha ripetuto
vent´anni dopo in un´intervista: «Il giudice voleva farmi cantare ma avevo
perso la voce».
Qui Dalla Chiesa smette di fare il giornalista e torna politico: «Un
paese che mette a capo dello spettacolo più importante della rete più
importante della tv pubblica un uomo che rivendica con orgoglio le sue
amicizie di mafia, un uomo che ospita a casa sua i boss che gli fa avere
pranzi in cella di sicurezza quando vengono arrestati, questo è un paese
che fa passare un messaggio devastante: essere amici della mafia non è un
problema, anzi può essere un vantaggio. Ed è lo stesso paese che poi mette
i suoi morti di mafia sui francobolli e dà le medaglie agli orfani, alle
vedove». Così è nata l´idea del Festival di Mantova. «Ho pensato: ci sarà
pure un´altra Italia.
Un´Italia che della mafia non ne vuole sapere, e non ci vuole convivere
come invitano a fare i nostri ministri. Diamogli un palco». Qui cominciano
i problemi: un altro festival dal 2 al 6 marzo a Mantova, negli stessi
giorni di Sanremo. Dalla Chiesa parte, però Sanremo è la Rai. I cantanti –
Paola Turci, Max Gazzè, Nada – prima dicono sì poi si scopre che i loro
manager hanno altri artisti al festival di Renis, e rinunciano. Tv
nazionali offrono di comprare i diritti, poi si ritirano. Berlusconi scende
in campo, come è solito fare. Dice: «Sono amico di Tony come D´Alema è
amico della Ferilli», che non è proprio la stessa cosa per molti aspetti,
ma il messaggio è chiaro. Fabrizio Del Noce, direttore di RaiUno,
minimizza: coi mafiosi “presunte amicizie”. La sinistra latita: comincia a
circolare voce che Dalla Chiesa ha perso lucidità, è passato dall´antimafia
alle canzonette, non è una cosa seria. Gli artisti da concerto del primo
maggio, i cantanti che trovi alle feste dell´Unità, i cabarettisti
censurati dalla Rai, i manager dei teatri alternativi – quelli che ti
immagini di veder correre, insomma – dicono: mah, non so, insomma, “io sono
per non sono contro”. Non contro Sanremo, non contro la Rai che dà pane a
tanti. Le banche che avevano promesso lo sponsor, per Mantova, mantengono
l´impegno ma pregano di non comparire. Arriva qualche velata minaccia, e
insieme la campagna denigratoria. «Hanno cominciato a far girare voce che
Mantova non si faceva più, che io ero ammattito, che la politica non
c´entra con lo show.
Non c´entra? In questa storia la politica non c´entra? Noi contestiamo
il modello Sanremo proposto da Berlusconi con Tony Renis, contestiamo
questa rappresentazione dell´Italia. Proponiamo una rassegna che sia una
scelta civile: di antimafia, di libertà. Se il mondo della musica non
riesce a farlo da solo la politica ha il dovere di metterci le sue
energie». La macchina comunque parte, è partita: fra una settimana il
Festival di Mantova presenta il cartellone. Trenta gruppi selezionati da
nove musicisti e critici tra le mille domande arrivate. Una srl per gestire
l´impresa, budget un milione di euro fra sponsor contributi sottoscrizioni.
Un festival del cinema musicale, rassegne di teatro, musica sacra nelle
chiese e jam session la sera. Nomi? «Le star non vanno nemmeno a Sanremo, a
parte gli ospiti pagati una fortuna. Noi abbiamo gruppi molto amati dai
giovani, e nuovi talenti. Sul palco ci saranno anche nomi, se poi è solo
questo che conta: appena daremo il cartellone saranno in molti a mangiarsi
le mani per aver rinunciato. Sarà come il festival del Teatro di Edimburgo,
sarà la prima edizione di un nuovo festival della musica». A lavorare ci
sono persone come Fulvio Scaparro, Lidia Ravera, Ricky Gianco. Emittenti tv
europee hanno chiesto i diritti. Il sindaco di Mantova ha concesso teatri
palasport e piazze gratis, il presidente della provincia molto del resto.
Chissà.
Renis è di là che lavora con Mogol. Sono loro che scelgono e decidono
ogni cosa, hanno avuto carta bianca dopo lo scandalo dell´estate: 3
arresti, 20 indagati, tangenti da 50 mila euro per cantare al Festival, la
moglie di Fini ed Emilio Fede tra gli intercettati al telefono a chiedere
favori ai protetti. Renis dice che si sente “come il Trap”, che riceve
duecento telefonate al giorno e non risponde a nessuna. Di Dalla Chiesa:
«Farnetica, calunnia. Sarebbe da querela, ma lascio perdere». Dalla Chiesa
ripone le carte dell´antimafia, le armi della sua guerra. «Questo potere è
così, si sente onnipotente non ha la percezione dei suoi confini». Chiude
la cartella: «E´ strapotere. Non ha il senso dell´estetica».
da la repubblica
Dopo la denuncia dell´amicizia di Renis con mafiosi, Nando Dalla Chiesa organizza un controfestival.
Questa è una storia di potere all´italiana: pacche sulle spalle e sorrisi da amiconi, stretta di mano e affare fatto, la polvere sotto il
tappeto e i seccatori per favore fuori. Dapprincipio sembra che parli di sbruffoni e canzonette, ville al mare e pianoforti a coda, Berlusconi e Frank Sinatra, Bocelli e champagne. Poi nel mezzo ci sono morti ammazzati e un sacco di soldi che girano, ricatti, minacce, pesci piccoli che scappano per lo spavento e pesci grandi che divorano il resto, pescecani.