Tra i candidati che hanno visto rifiutarsi la possibilità di partecipare alle elezioni vi sono 88 deputati attualmente in carica, e tra loro anche i due vice presidenti del Parlamento. Uno di questi è il fratello del Presidente iraniano Khatami.
Lo scenario politico dell’Iran è diviso tra l’ala “dura” guidata dall’ Ayatollah Khamenei e l’ala cosiddetta “riformista” guidata dal Presidente della Repubblica Islamica Hojatoleslam Mohammad Khatami.
Il sit-in di protesta messo in atto dai deputati che non hanno accettato le decisione delle autorità religiose è arrivato oggi alla terza giornata e i deputati hanno richiesto l’appoggio degli studenti delle università e mantengono un filo diretto di comunicazione con l’opinione pubblica iraniana attraverso alcuni comunicati stampa che vengono diffusi anche più volte al giorno.
La situazione nella quale si è andato a chiudere il regime teocratico di Teheran è diventato così nelle ultime ore il più classico dei “cul de sac”: i riformisti, obbligati dalla costituzione islamica non possono fare altro che rivolgersi a Khamenei, in qualità di guida suprema, ma lo stesso Khamenei ha annunciato ufficilamente che non interverrà per cambiare il controverso decreto emesso dalla commissione dei saggi religiosi.
In più va tenuto presente un dato di fondo di grande importanza: l’opinione pubblica iraniana, la stragrande maggioranza dei cittadini è decisa a non recarsi alle urne per le prossime elezioni perché fortemente disaffezionata all’attuale classe politico-religiosa e disillusa dalla mancanza di quelle riforme troppe volte promesse e mai realizzate dal Presidente della Repubblica e dai parlamentari posti sotto la sua influenza.
Gli esponenti politici dell’ala più intransigente già ieri hanno affermato che quanto sta accadendo in questi giorni in Iran porterà la popolazione a disobbedire, a scendere nelle piazze e manifestare. E queste forme di disobbedienza, a loro dire, potrebbero rivelarsi molto pericolose per l’intero sistema teocratico e per lo stesso regime.
E hanno ragione, pensano in molti: l’opinione pubblica iraniana non ha nessuna speranza reale in nessuna forma di cambiamento senza la capitolazione del regime attuale. Questa la ragione per la quale la popolazione non parteciperà alle elezioni previste per il mese prossimo, così come già accaduto per le elezione dei consigli di città e di quartiere l’anno scorso.
In questo scenario politico tanto instabile si è improvviamente aggiunto un fattore di grande preoccupazione per tutti i rifugiati politici iraniani, riparati da anni nei paesi dell’Unione Europea.
Lo scorso 12 gennaio si è recato a Teheran l’ex presidente del Parlamento italiano, ed esponente di primo piano dei Ds, Luciano Violante insieme con il Ministro degli Esteri dell’Unione Europea Xavier Solana.
Violante ha avuto lunghi colloqui ufficiali con le autorità del regime, tra le quali Mehdi Karrubi, Presidente del Parlamento Iraniano, al quale ha consegnato un messaggio del Presidente della Camera Pieferdinando Casini, ed un secondo lungo colloquio con lo stesso presidente dell’Iran Mohammed Khatami.
L’apparente motivo delle visite è stato il terribile terremoto che ha colpito la città di Bam provocando oltre 70.000 vittime tra la popolazione, ma in tutti gli incontri uficiali avuti dai due leaders politici europei, secondo quanto riferiscono, tanto le fonti dell’opposizione all’estero quanto le agenzie stampa Iran, Isna, Ilna e perfino la britannica Bbc, è stata richiesta con inusitata durezza di toni l’estradizione degli oppositori Iraniani residenti nei paesi dell’ Unione Europea.
A Luciano Violante, in particolare è stata esplicitamente chiesta l’estradizione degli oppositori iraniani residenti in Italia.
Una richiesta assolutamente irrituale e contraria ad ogni protocollo e procedura diplomatica. Una richiesta comunque inaccettabile e irricevibile stante il rischio concreto per molti rifugiati politici che vivono in Italia così come in Europa di poter essere condannati a morte dai tribunali speciali del regime di Teheran o, nella migliore delle ipotesi a lunghi anni di prigionia nelle famigerate carceri iraniane accusati soltanto di reati d’opinione.
Perché, ci domandiamo, l’onorevole Luciano Violante non ha denunciato pubblicamente questa irritualità della richiesta dell’estradizione dei rifugiati politici iraniani che gli è stata fatta dagli esponenti del governo iraniano?
Perchè le agenzie stampa e i media italiani non parlano di queste manovre politico-diplomatiche che vedono coinvoilti in prima persona esponenti di alto livello della classe politica italiana?
Il ministro della Giustizia Castelli è informato di queste richieste fatte all’onorevole Violante? E qual’è la sua posizione in proposito?
In tutti gli incontri ufficiali con uomini politici stranieri, le personalità del regime islamico ultimamente non dimenticano mai di chiedere a gran voce l’estradizione degli oppositori iraniani esiliati nei paesi dell’Unione europea. La richiesta, ripetuta anche all’onorevole Luciano Violante e a Xavier Solana, è la spia più indicativa dell’aggravarsi della crisi di legittimità che il regime sente di vivere all’interno del paese e del popolo iraniano.
Oggi, più ancora che nei mesi passati, è ancor più evidente l’avvicinarsi del collasso dell’intero apparato politico di controllo e l’impotenza del regime di Teheran è ormai sotto gli occhi tutti.
Nei prossimi giorni, forse addirittura nelle prossime ore potremmo essere testimoni di sviluppi clamorosi provenienti dai palazzi del potere di Teheran, e molti osservatori indipendenti danno ormai per imminente l’apertura di una crisi irreversibile del potere teocratico del regime iraniano.
Con buona pace degli ambigui silenzi di Luciano Violante e Xavier Solana.
In Iran, il regime è ormai vicino al tracollo, l’unica alternativa reale rimangono le forze dell’opposizione democratica, che da 25 anni lottano senza sosta e pagando un prezzo altissimo in termini di persecuzione e cancellazione dei diritti umani più elementari per una Repubblica Democratica dell’ Iran.
Alì Ghaderi*
*responsabile esteri dei Feddayn del popolo iraniano
Nei giorni scorsi l’Iran ha vissuto un altro terremoto, dopo quello disastroso che ha cancellato la città di Bam. Un terremoto sociale. La commissione dei saggi religiosi, scelti personalmente dalla massima guida religiosa del paese, l’Ayatollah Khamenei, ha rifiutato la partecipazione di ben 2033 candidati alle elezioni dell’assemblea nazionale iraniana “Majles”. Con questa decisione il livello di scontro all’interno delle fazioni del regime islamico è arrivato ormai al livello di guardia.