Bolivia: verso lo sciopero generale
Una ventina di organizzazioni giovanili di La Paz, Oruro, El Alto e altre zone della Bolivia si stanno organizzando per partecipare attivamente allo sciopero generale e al blocco dei caminos (le vie di comunicazioni stradali) annunciati dalla COB (Central Obrera Boliviana). “Vogliamo mobilitarci a livello nazionale al fianco della COB e delle masse per rompere la tregua con il governo, verso cui non abbiamo più alcuna fiducia: dunque sciopero generale illimitato e blocco dei caminos”.
Si legge da un documento: “I giovani sono pronti a scendere in strada con i propri familiari, per prendere le armi e per l’insurrezione popolare contro il capitalismo e il sistema neoliberista, contro l’imperialismo yankee e per chiudere finalmente le porte del Parlamento borghese e della democrazia rappresentativa. Abbasso anche il referendum e la costituente di Mesa”. Intanto al fronte di organizzazioni e sindacati pronti alla mobilitazione va aggiunta la poderosa Confederaciòn de Transportistas de Bolivia che il 26 gennaio ha dichiarato di essere pronta a decretare uno sciopero generale illimitato per paralizzare le principale arterie stradali del paese, qualora il governo di Mesa annunciasse (come previsto e molto probabile) l’aumento del prezzo dei carburanti, che apparentemente sembra l’unica sorgente di denaro fresco che allievi la pesante situazione delle finanze nazionali. “Sappiamo che alzeranno il prezzo della gasolina, d el gas di utilizzo domestico e forse perfino il diesel. Non è accettabile, il popolo deve difendersi; il prezzo alto determina una catena di problemi in ogni nucleo familiare e questo non lo permetteremo. Dovranno fare i conti con il primo sciopero dei trasporti molto presto”, hanno dichiarato dal direttivo della Confederazione annunciando un’alleanza imminente con la COB. Dunque con questa dichiarazione di intenti il fronte pronto alla radicale mobilitazione si amplia e la crisi sociale è pronta a riesplodere. Lavoratori e settori popolari sembrano isolare le posizioni meno radicali e di attesa e rispetto dei luoghi istituzionali del leader cocalero Evo Morales.
da econoticiasbolivia.com
PAKISTAN: GIORNALISTA UCCISO NEL NORD DEL PAESE
Un giornalista pakistano è stato ucciso nella Provincia della frontiera di nordovest (Nwfp). Sajid Tanoli, 35 anni, è stato assassinato a colpi di arma da fuoco a Manshera, città situata circa 180 chilometri dal capoluogo di provincia, Peshawar, al confine con l’Afghanistan.
La polizia sospetta che l’omicida sia il capo dell’amministrazione cittadina, Javed Khan, che lo osteggiava da quando il cronista aveva pubblicato notizie su di lui. In particolare si sospetta che l’assassino abbia voluto vendicarsi per un’inchiesta apparsa in un quotidiano locale su un traffico illegale di alcolici.
Al momento gli agenti hanno fermato il fratello e il figlio di Javed Khan, e stanno cercando di rintracciare anche lui. Le indagini sull’omicidio, tuttavia, sono ancora in corso.
Iraq: Protesta in piazza dei senza casa di Bassora
Centinaia di senza fissa dimora iracheni, che avevano vissuto in edifici governativi fino alla caduta del regime di Saddam Hussein, sono scesi per le strade di Bassora per chiedere al Consiglio provvisorio di tornare nelle proprie case.
Secondo quanto riporta il quotidiano iracheno con base a Londra Asharq al-Awsat, i dimostranti hanno raggiunto la sede dell’Autorita’ di Coalizione provvisoria scandendo slogan del tipo: ”Sfrattare le famiglie irachene e’ un grande crimine contro le donne e i bambini”.
MINE ANTIUOMO: LA SEMINA DELLA MORTE
Ci sono più di 100 milioni di esplosivi sotterrati in 68 paesi: ciò ha spinto gli esperti di 16 paesi americani a riunirsi per cercare una soluzioni contro le mine antiuomo.
La Campagna Internazionale per la Proibizione delle Mine (ICBL), ha dato vita a Bogotà all’annuale assemblea per l’America alla presenza di delegati di sedici paesi. La ICBL ha deciso di dislocare la riunione in Colombia dal momento che questo paese è quello che registra più vittime a causa dell’ uso di artefatti esplosivi antiuomo, secondo quanto dichiarato dal coordinatore di investigazione dell’ entità per l’America Latina, Charlie Avendaño.
Avendaño ha anche spiegato che questo appuntamento sarà utile per preparare la Prima Conferenza di Esame del Trattato per la Proibizione di Mine o Convenzione di Ottawa, nel periodo 2004-2009, che si effettuerà in Novembre a Nairobi.
A Bogotà i partecipanti analizzeranno le norme e gli accordi internazionali finalizzati alla proibizione totale dell’uso, della produzione, dell’immagazzinamento e commercio di questo tipo di armi non convenzionali. I partecipanti prenderanno parte ad un seminario regionale per assicurare che le mete regionali nell’ azione contro le mine si compiano prima del vertice di Nairobi. Altri appuntamenti preparatori sono previsti a Kabul, per la regione asiatica; in Burundi, per Africa; a Sarajevo, per l’Europa, tutte aree in cui sono state utilizzate mine antipersona.
Stando alle cifre officiali, in Colombia almeno due persone ogni giornotrovano la morte per colpa di una mina. Sempre in Colombia, si calcola che ci sono tra 70.000 e 100.000 esplosivi di quel tipo installati per i gruppi ribelli, specialmente le guerriglie. Negli ultimi 13 anni, al meno 2.450 persone sono state vittime delle mine, e un quarto di loro sono morti. Nel mondo si calcola che ci sono 110 milioni di mine in 68 paesi vittime di questa semina.
Grecia – Affonda barca di clandestini, dispersi in mare 17 immigrati
Un’imbarcazione con a bordo circa 45 immigrati clandestini e diretta verso le coste dell’isola greca di Eubea, è affondata a causa delle avverse condizioni del mare. La radio greca, che riporta le testimonianze dei superstiti, ha annunciato che al momento ci sono 17 dispersi. Sulla zona, di fronte alla cittadina di Karystos, ci sono due elicotteri, imbarcazioni militari e pescherecci che stanno cercando i dispersi. Non sono, dunque, le coste italiane le sole ad ospitare gli sbarchi di disperati in fuga dai loro paesi. Tutto il Mediterranio dell’est, infatti, viene considerato come “terra promessa” per i clandestini che, a bordo di barche spesso fatiscenti, sono pronti a tutto pur di costruirsi un futuro migliore.
ANP: centinaia di dimissioni da Al-Fatah
GERUSALEMME Alcune centinaia di palestinesi appartenenti ai quadri intermedi di Al Fatah hanno annunciato ieri le dimissioni dai loro incarichi e la loro uscita da questa organizzazione per protestare contro lo stato di anarchia esistente, affermano, al suo interno.
Lo hanno riferito fonti palestinesi e i media israeliani, aggiungendo che gli autori di questa iniziativa hanno dichiarato in un comunicato che Al Fatah si sta sgretolando dall’ interno. «Il Fatah – affermano – non è più un movimento unito e non è più un solo movimento. C’è il Fatah delle città e quello dei villaggi e dei campi, c’è il Fatah dei servizi di sicurezza e quello al di fuori. Ci sono le Brigate di Al Aqsa e le Brigate del Ritorno. C’è il Fatah ufficiale e quello non ufficiale. C’è il Fatah che appoggia (i patti di pace israelo-palestinesi) di Ginevra e quello che è invece contrario».
«Tutte queste contraddizioni stanno accelerando lo sgretolando del movimento», affermano i firmatari del comunicato stando ai quali che la situazione si è ancora di più aggravata da quando Hani El Hassan, un collaboratore di Yasser Arafat, è divenuto capo di stato maggiore di Al Fatah.
Un ministro dell’ Autorità nazionale palestinese (Anp), Cadura Fares, ha affermato che le dimissioni in massa sono la prova dello stato di confusione esistente in seno ad Al Fatah – che risponde direttamente a Yasser Arafat – e che è necessario convocare un’assemblea per un esame approfondito della situazione del movimento.
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