Nell’assemblea dei giornalisti del Tg1 fu proprio Daniela Tagliafico a svelare i retroscena che si nascondono dietro la preparazione di un servizio. Il metodo del «panino», il servizio preparato facendo attenzione che la maggioranza chiuda sempre in bellezza, è solo una delle premure del Tg1, la punta dell’iceberg diventata di dominio pubblico anche perché per un Fini che parla c’è sempre un Bondi che ha l’ultima parola. E a via della Scrofa cominciano ad accorgersene. Ma appunto il «panino» è solo una delle invenzione e c’è una varietà di altre soluzioni possibili per manipolare l’informazione.
Spesso sono gli stessi ministri a suggerirne, soprattutto quando si avvicina la
campagna elettorale. Un vizio endemico della Rai, ma che da quando è stata
introdotta la calza sulla telecamera per le riprese del premier, ha prodotto
eccessi di fantasia. Si tratta di indicazioni precise che cavalcano l’urgenza
del momento, «una tendenza che c’è sempre stata in Rai, ma che Mimun, con la sua
attenzione maniacale, ha reso un’ossessione» raccontano gli esasperati. Bisogna
preparare una scheda su Schifani nei giorni in cui Previti non se la passa
benissimo? Vietato usare la parola lodo. L’Eurispes informa che gli italiani
hanno fiducia nell’Unione europea? La traduzione sarà che gli italiani hanno
fiducia nell’Europa perché l’Ue potrebbe far pensare a Prodi. Ma prima della
scelta comunque attentissima delle parole vengono le immagini, veicolo immediato
di comunicazione. Gli operatori Rai, giornalisti con tanto di tesserino, sono in
imbarazzo, più spesso senza fare niente: hanno lo stipendio pagato ma lavorano
poco perché la scelta della azienda è quella di servirsi di appalti esterni. La
tendenza è ormai in crescendo, la quasi totalità dei servizi che vediamo sui
telegiornali dei primi tre canali sono girate da service. Il caso dell’agenzia
Euroscena, con i suoi pacchetti operatore+tecnico+autista a prezzo stracciato e
le sue transenne per impedire il passaggio delle telecamere Rai oltre la «zona
rossa», è scoppiato per il decennale di Forza Italia ma è sintomatico
dell’azzeramento verso cui avanza il servizio pubblico in questa sua rinuncia
all’utilizzo di risorse umane proprie. E questo quando i servizi sono montati
con la voce del giornalista sullo scorrere delle immagini. Poi ci sono esempi
paradossali in cui il giornalista non è neppure inviato a raccogliere
dichiarazioni o azzardare domande, basta l’operatore di ripresa. È questo il
caso del ministro Schifani «pungolato» da domande sì, ma unicamente del suo
fedele portavoce.
Non sono solo i giornalisti a manifestare disagio. Gli stessi tecnici si
lamentano, accanto al loro stipendio è comparsa la voce dei costi del materiale
e della manutenzione, sono tagliati fuori dal mercato, «i service privati
propongono prezzi competivi, ma scarsa professionalità» raccontano, alcuni
intravedono sempre più netto un disegno di privatizzazione della Rai. E chi non
ci sta paga pegno. Come? «Le persone che non si prestano e mettono in
discussione questi metodi vengono marginalizzate, tanti di noi sono stati
parcheggiati a fare niente – racconta un redattore – ora Mimun nelle quattro
riunioni che si svolgono nell’arco della giornata, dalle 10 alle 20.30, si
produce in soliloqui e quasi più nessuno lo contraddice». Un’arma di
«distruzione di massa» per portare avanti il controllo totale sulle notizie è
rappresentata dall’utilizzo dei giornalisti precari. Sono circa 430 i
professionisti con contratto a termine di cui si serve la Rai. Un bacino in
continua espansione perché in una situazione contrattuale debole hanno
difficoltà a opporsi e resistono alle pressioni più mortificanti. Impiegati per
circa 9 mesi formalmente per prestare la loro opera nelle rubriche, in realtà
svolgono la maggior parte del lavoro. Tra i circa 1.600 giornalisti interni sono
l’esercito della manovalanza. La trattativa per regolarizzarne alcuni, almeno i
più anziani, si è chiusa drasticamente. Qualcuno è ricorso alle vie legali ed è
riuscito ad entrare per sempre, ma il grosso delle vertenza è ancora in corso,
qualcun altro ha potuto contare sull’articolo 6, assunto quindi in base alle
richieste avanzate dai direttori e dalle forze politiche di riferimento. «I
ministri telefonano e si interessano delle assunzioni. Un antico vizio da queste
parti, ma che con il maggioritario è diventato più smaccato. Telefonano tutti,
la maggioranza la fa da padrone. La lega conta meno di tutti, è in difficoltà
anche perché ha pochi professionisti presentabili», è talmente evidente che te
lo raccontano al bar. I direttori più forti sono stati accontentati. Nella
politica allo sbando delle risorse umane la maggior parte delle assunzioni che
si contano nel 2003 è andata a riempire le file del Tg1 e del Tg2 (sette a Mimun
e 7 a Mazza), il Tg3che aveva scioperato anche per ottenere un’aumento di
personale è rimasto a bocca asciutta.
Estratto dal Manifesto
L’Italia che rappresentiamo nel nostro tg è del tutto stonata rispetto al reale, non corrisponde al vero, ci mandano a fare servizi sulla settimana bianca o sul fitness, così passa solo l’Italia dei consumi e non quella che fa la spesa, sembra un paese sempre in vacanza dove non esistono conflitti e le questioni sociali».