Gli operai di Mirafiori che signori non sono, vuoi
per definizione vuoi per busta paga, temono invece che in fondo al tunnel
della crisi del Lingotto non ci sia altro che un precipizio. Non è questione
di pessimismo ma di matematica. Con mille vetture al giorno – una soglia al
di sotto della quale non scenderemo, aveva promesso il fratello
dell’Avvocato e presidente del gruppo torinese Umberto Agnelli appena due
mesi fa – non si giustifica l’esistenza di uno stabilimento con una capacità
produttiva più che doppia. Ma le mille vetture al giorno non sono che una
promessa da mercante: a gennaio, dopo l’annuncio shock di una settimana di
cassa integrazione, Mirafiori sfornerà non più di 750 automobili al giorno.
Di conseguenza il problema per i 15 mila lavoratori «residuali» nella
fabbrica torinese non è la nazionalità del futuro (americano? italiano?
tedesco?) ma il futuro stesso. C’è chi dal palazzo del municipio sabaudo
tenta di tranquillizzare gli animi, raccontando che l’imprevista riduzione
produttiva non sarebbe altro che un colpo di coda della vecchia crisi Fiat
ormai alle spalle. Ci credono in pochi nelle desertificate linee di
produzione torinesi.
Anche Sergio Chiamparino si dice fiducioso sul ruolo che i lavoratori della
città di cui è sindaco avranno nella nuova Fiat uscita dalla crisi. Peccato
che pochi giorni fa – forse distratto dalle grandi opere (Olimpiadi sulla
neve, passante ferroviario, metropolitana, la Torino-Lione e quant’altro)
che hanno trasformato la città in un cantiere – Chiamparino abbia comunicato
ai suoi concittadini di aver aperto un confronto a tu per tu con il Lingotto
per decidere il futuro delle aree industriali Fiat in dismissione. I tre
milioni di metri quadrati di Mirafiori sono un affare, un business che può
diventare operativo solo con la fine della produzione. L’argomento
appassiona i media cittadini che hanno già aperto il dibattito tra politici,
architetti, intellettuali: di che colore vogliamo dipingere la ex capitale
italiana dell’automobile?
Non ha senso chiedere agli operai di Mirafiori – a cui sono state tolte una
alla volta tutte le produzioni serie, dalla Panda ai motori, dalla nuova
Punto ai cambi – se preferiscano un padrone italiano, americano, tedesco.
Preferirebbero un padrone disposto a investire sulla loro fabbrica per farla
tornare produttiva e competitiva, con almeno 1.300 automobili sfornate ogni
giorno. E’ questa l’unica garanzia per il futuro.
Vi sembra normale che a occuparsene e a preoccuparsene siano solo le tute
blu torinesi e il (un) loro sindacato?
LORIS CAMPETTI
Gli unici a non tergiversare se chiedi una previsione sul futuro dell’automobile italiana sono il presidente della General Motors, Rick Wagoner e gli operai di Mirafiori: il futuro, se sarà, non sarà americano. Siccome Wagoner è un signore, condisce la pillola amara (non
ricapitalizzeremo Fiat Auto, tanto meno ce la compreremo) con lo zuccerino (sicuramente con il nuovo amministratore delegato Demel i marchi italiani faranno molta strada).