Fatevi sentire!
Questo è l’appello di Supporto legale, rete di avvocati che segue i processi di Genova, Cosenza, Napoli e Milano, apparo su “il manifesto” all’indomani della requisitoria del pm Canciani al processo in corso, a Genova, contro 25 manifestanti nei cortei del G8 di Genova, accusati di devastazione e saccheggio.
«La storia siamo noi» non è uno slogan. E’ un approccio preciso; da un lato la storia sociale, dall’altro la storia del potere. Chi lo ha cantato in questi anni lo ho fatto con l’istinto di chi sa di aver vissuto un pezzo importante della storia, ufficiosa o ufficiale che sia. E lo ha fatto pensando a Genova 2001. Con ogni mezzo necessario. Ma dal giorno in cui è iniziata la requisitoria dei pm Andrea Canciani e Anna Canepa (Md), la storia la scrive qualcun altro. E pare che le 300mila persone che hanno cantato quella canzone sei anni fa non si accorgano di nulla.
In questi giorni la verve accusatoria attacca frontalmente la nostra memoria collettiva. I pm non si sono risparmiati: hanno biasimato le violenze delle forze dell’ordine; la gestione dell’ordine pubblico paragonato a una guerra tra bande, la partigianeria di testimoni inqualificabili e come rappresentanti dello Stato. Hanno però voluto porre un limite alle accuse e a un processo che si deve occupare solo delle devastazioni dei manifestanti; tutto il resto non può essere usato davanti alla Corte.
Allora non si può parlare delle spranghe di ferro usate dai carabinieri nella carica di via Tolemaide, perché non hanno avuto alcun effetto di retto sulle devastazioni dei manifestanti; non si può parlare di via Alimonda, un fatto tragico ma già archiviato; non si può dubitare che le centinaia di lacrimogeni sparati sul lungomare non abbiano mai raggiunto il corteo, ma solo la piazza
antistante lo schieramento di polizia; non si può non notare che in via Tolemaide ci siano stati solo 100 secondi di corpo a corpo e che, quindi, le cariche non siano state così violente; non si può non notare che, in fondo, il blindato abbia caricato ad alta velocità i manifestanti solo due o tre volte.
Quindi, poco da lamentarsi.
In pratica, la rabbia di tutti noi in quei giorni per le sopraffazioni vigliacche che aggredivano chi non poteva difendersi, che esprimevano il monopolio più vecchio del mondo, quello dell’uso della forza pubblica, dobbiamo dimenticarla, perché conta poco, mentre si giustificano le forze dell’ordine e chi le comandava. Allora la carica di via Tolemaide si comprende bene.
Cos’altro avrebbe dovuto fare la polizia? Allora quella di Placanica è legittima difesa, mentre quella di tutti coloro che si sono ribellati al G8 no.
Forse anche i pm avrebbero dovuto essere in strada per capire cosa è stata Genova. «Non si può parlare della Diaz», affermano.
Contemporaneamente offrono agli avvocati degli alti gradi della polizia un assist, sotto forma di affermazioni non provate e dossier già noti, che non cambiano nulla,
ma che risultano ampiamente suggestivi per i media. Condannano l’operato della polizia nella scuola, ma si dimenticano di ricordare che fu proprio la dottoressa Canepa a essere «interpellata» quella notte dai dirigenti poi imputati per il massacro.
Ai pm «non piacciono i cattivi maestri», ma forse dai loro «buoni maestri» dovrebbero apprendere anche che non si può pensare di giocare al gioco della politica senza sporcarsi le mani. 300mila persone-bianche, pink, black, disobbedienti, migranti, pacifisti, autonomi-lo hanno fatto sei anni fa, senza paura.
Se la storia siamo noi, se la memoria non è un souvenir da quattro soldi ma un prezioso ingranaggio collettivo, queste stesse persone dovrebbero correre a Genova e far sentire la propria voce in un processo che si è abituato a risolversi come una cosa «per i soli addetti ai lavori». «Addetti ai lavori» come i 25 imputati-capri espiatori sui quali si vorrebbero scaricare tutte le responsabilità di quello che fu Genova, la cui condanna sarebbe utilìssima per chiudere ì conti che tutti sono ansiosi da sempre di chiudere, o rimuovere. La storia non è una questione per addetti ai lavori di un’aula di tribunale. La storia siamo noi.
di Supporto Legale
224 anni e mezzo di carcere sono le richieste dei PM nei confronti dei
manifestanti sotto processo per i fatti legati al G8 del 2001 a Genova.
“Vogliamo pene severe ma non esemplari”: questa la frase clou rivolta al
collegio giudicante. Una lezioncina in puro stile Canepa-Canciani anche
ai giudici. E come se non bastasse anche un po’ di morale gratuita per
finire sui giornali ricordando che “vorrebbero” pene severe anche per le
forze dell’ordine imputate per l’irruzione alla Diaz e per le torture a
Bolzaneto.Chissà perché però le loro energie si concentrano dal 2001 in avanti, solo
ed esclusivamente contro i manifestanti?
Chissà come i pm hanno deciso di analizzare i fatti, senza considerarli
nella loro interezza: senza considerare la militarizzazione della città,
l’utilizzo di reparti speciali (oltre al ben noto e famigerato Tuscania), l’uso di spranghe al posto dei manganelli, la completa incapacità a gestire i manifestanti da parte delle forze dell’ordine giunti in piazza solo “per menare i rossi”. Niente, per i pm non conta niente ciò che ci fu prima e dopo quelle giornate. Tutti devastatori e saccheggiatori.
Conta solo l’ottusa accusa nei confronti di chi scelse di opporsi alla
sopraffazione dell’azienda mondo.
I pm inoltre, in un impeto di moralismo, paragonano i fatti di strada al
massacro della Diaz, senza ricordare che alla Diaz i poliziotti sono
imputati solo per lesioni, falso e calunnia e non per il massacro che fu
realizzato, oltre a fornire alle difese dei poliziotti imputati, straordinari assist.
Due secoli di carcere che ululano alla storia, che chiedono un posto nei
libri, il proprio nome a fianco di un evento epocale come fu Genova
2001, ma la storia siamo noi, non voi.