Dire in poche righe cosa abbia espresso una manifestazione così partecipata, attiva, plurale, come quella del 24 novembre, non è possibile. Le tantissime donne, con diverse esperienze politiche, sociali, territoriali, che hanno risposto all’appello controviolenzadonne.org hanno riconosciuto validità, senza necessariamente condividerlo in toto, al percorso che ci ha portate, in tante e diverse, a costruire l’appuntamento di sabato scorso, la sua piattaforma, le sue modalità.
Un tratto, però, ci è sembrato emergesse in maniera evidente e unificante da quella piazza: la denuncia dell’insopportabilità delle condizioni di vita cui sono costrette le donne e la critica alle misure proposte fin qui dal governo, in particolare al pacchetto sicurezza.
Lo striscione delle donne rom che recitava “noi stiamo con Emilia, la donna rom che ha denunciato l’assassino di Giovanna” esprimeva nella maniera più chiara possibile un sentimento diffuso di netta opposizione alla campagna razzista delle scorse settimane che ha preso in ostaggio il corpo delle donne, mascherando la realtà di una violenza che si perpetua principalmente tra le nostre, italianissime, mura domestiche.
A questa radicalità di contenuti la manifestazione accompagnava una forte diffidenza verso ogni tentativo di strumentalizzazione politica, tanto di destra quanto di “governo”. A chi ci ha definito “oche, cretine, stupide” non vale molto la pena rispondere, se non nelle modalità pacifiche ma determinate con cui abbiamo fatto sabato sera riprendendoci un palco che era stato calato letteralmente sulle nostre teste. A chi invece, in maniera un po’ più fine, ci accusa di antipolitica, settarismo, minoritarismo, crediamo giusto rispondere che se per politica si intendono i giochi di palazzo che sacrificano sull’altare delle mediazioni di governo l’estensione dei diritti civili alle coppie omosessuali (in nome della “sacrosanta” famiglia naturale che abbiamo detto essere la culla della violenza sulle donne); la cancellazione di una legge vergognosa come quella sulle Pma; la difesa “senza e senza ma” della legge 194!allora forse un po’ di antipolitica farebbe bene a molte e molti.
A noi sembra, invece, che le donne che erano in piazza abbiano, anche simbolicamente, rifiutato quella politica per rivendicarne una molto più genuina, fatta del protagonismo dei soggetti reali, della radicale critica ad un modello sociale e culturale oppressivo e violento, patriarcale. Alcune, dall’alto della propria esperienza storica nel movimento femminista, ci hanno “bacchettato” sulle dita (con una modalità paternalista di relazione con una nuova generazione di donne) perché non avremmo capito che una manifestazione di donne dovrebbe accoglierle tutte, senza distinzioni di schieramento politico.
Noi, invece, non crediamo ad una riduzione biologica del “femminile”, rivendichiamo la legittimità di sviluppare una soggettività politica che sappia criticare donne che, come la Prestigiacomo, non sembrano soffrire particolarmente il proprio leader di partito che si permette di dire «Anna Finocchiaro è brava!anche se donna», che al governo ha prodotto la legge 40, che ha sostenuto appieno il Family Day. Una soggettività politica che sa rifiutare la delega in bianco ad altre donne, comodamente installate in posizioni di potere, che nulla (o quasi) fanno per denunciare le complicità di questo governo con l’offensiva familista, reazionaria, razzista che travolge in primo luogo le donne. Le ministre, peraltro, hanno tranquillamente potuto sfilare nel corteo senza che nessuna pensasse di allontanarle, ma non potevano né dovevano arrogarsi il diritto di parlare a nome e per conto delle centomila donne che erano in piazza, riproducendo una modalità davvero maschile e violenta di relazione con altre donne a difesa di un governo che continua a smantellare i servizi sociali, ad imporre la precarietà a vita, a tagliare le pensioni, intervenendo quindi direttamente, e drammaticamente, sulla vita delle donne.
In questo contesto la scelta di organizzare una manifestazione di “donne per le donne”, che pure non va assolutizzata ne espunta dal confronto e dalla discussione sulle diverse pratiche che ci attraversano, ci è sembrata particolarmente appropriata ed utile. A chi, di nuovo, ci dice che non vogliamo confrontarci con gli uomini, che pensiamo di vivere ed agire in un’isola felice di sole donne oppure che ci chiudiamo in un ghetto, rispondiamo che non è scritto da nessuna parte che confrontarsi, interloquire, progettare insieme un mondo diverso e migliore, debba necessariamente e sempre significare la delega agli uomini dei nostri percorsi politici. Coscienti che solo con un po’ di sana conflittualità da parte delle donne, gli uomini, anche i più coscienti, cominceranno a fare davvero i conti con una nuova modalità di relazione che non sia basata sul potere e sul possesso. Anche scendere in piazza come donne ha molto da dire agli uomini, se solo volessero e sapessero ascoltare. Sabato in piazza eravamo tantissime, diverse, felici, ma anche determinate a difendere il bene prezioso del movimento delle donne da ogni tentativo di strumentalizzazione e di decisione politica sulle nostre teste. Coscienti che non sarà dalla politica di palazzo che verrà la riposta ai nostri bisogni, ma dal protagonismo e dalla mobilitazione di tutte noi.
di Daniela Amato, Donatella Coppola, Fabiola Correale, Flavia D’Angeli (Sinistra Critica)
da Liberazione del 2 dicembre 2007
di Sc – Donne