La giornata dei collettivi romani comincia con l’occupazione del rettorato per rivendicare il diritto di manifestare. Il rettore dice sì, ed è la prima vittoria. Nel pomeriggio arriva la seconda, con l’annullamento della visita del papa. Ma loro non si fermano: domani festa grande Le manifestazioni non sono revocate. Nel mirino ci sono ora il sindaco di Roma e il ministro dell’università Mussi. Ovvero il pacchetto sicurezza e la ricerca.
La giornata dei collettivi romani comincia con l’occupazione del rettorato per rivendicare il diritto di manifestare. Il rettore dice sì, ed è la prima vittoria. Nel pomeriggio arriva la seconda, con l’annullamento della visita del papa. Ma loro non si fermano: domani festa grande Le manifestazioni non sono revocate. Nel mirino ci sono ora il sindaco di Roma e il ministro dell’università Mussi. Ovvero il pacchetto sicurezza e la ricerca.
«Fuori il papa dall’università». Lo slogan simbolo di questi giorni è diventato, ieri, una certezza. Sono passate da poco le cinque del pomeriggio quando la notizia del dietrofront papale giunge alle orecchie degli studenti. Sono nel bel mezzo di un’assemblea dei collettivi, rinchiusi dentro un’aula di Scienze politiche. C’è da organizzare il lavoro, pianificare gli eventi, coordinare la fitta rete di appuntamenti della «settimana anticlericale» contro l’arrivo dell’ospite indesiderato. Ad un tratto squilla un telefono. Poi un altro. E un altro ancora. Si parla di voci, indiscrezioni, semplici dicerie ancora tutte da confermare. Ma basta fare un giro di telefonate a qualche amico, raggiungere qualcuno che ha davanti un computer e un collegamento Internet per avere la conferma desiderata.
«Il papa non viene più». A battere sul tempo tutti è Giorgio Sestili, del coordinamento dei collettivi della Sapienza, che quasi non ci crede quando pronuncia la frase. «E’ vero, è vero, lo dicono anche i siti internet», confermano altri. «Allora è ufficiale?». «Sì, sì abbiamo vinto!». La gioia a quel punto è incontrollata. Applausi, grida, pacche sulle spalle. «Fuori il papa dall’università»: il coro parte all’istante. I primi commenti a caldo sono euforici. «Ha vinto il corpo vivo dell’università». La «vittoria della laicità contro le ingerenze della Chiesa cattolica in uno spazio pubblico dove devono dominare la ragione e il dialogo», aggiunge Giorgio. Francesco Raparelli, della Rete per l’autoformazione, si spinge più in là, definendo la giornata di ieri «un’indicazione politica per il paese contro le ingerenze della chiesa cattolica in uno spazio pubblico dove devono dominare la ragione e il dialogo».
Per assaporare fino in fondo questa «vittoria storica» (così la definiscono un po’ tutti) si deve partire però dall’inizio. Da una giornata cominciata per i collettivi alle nove. L’appuntamento è davanti al dipartimento di Fisica. Il programma odierno prevede dibattiti, proiezioni di film, incontri, assemblee. C’è chi prepara i panini per il pranzo anticlericale, sempre a base di vinello e porchetta, chi si occupa di tappezzare il viale interno della città universitaria di volantini e manifesti dove l’effige di papa Ratzinger impazza in tutte le salse.
Tutti si danno da fare aspettando le 12. Allo scoccare della mezza basta un cenno è la protesta dai corridoi delle facoltà si trasferisce fino al cuore dell’istituzione accademica: il rettorato. L’occupazione è fin troppo semplice. Si sale un piano e si entra dentro l’aula del Senato. Nessuno se lo aspettava. Neanche il custode, preso a sistemare le piante ornamentali appena arrivate per rendere più accogliente l’entrata papale in aula Magna. Arrabbiati sono arrabbiati, ma i toni rimangono pacifici. Ferme e chiare le motivazioni: «Per un sapere, una scienza e un’università laici. Perché il sapere non ha bisogno né di preti né di padroni». E ancora: «Perché l’università è una comunità di studiosi appartenenti a diversi orientamenti culturali, scuole di pensiero, indirizzi scientifici, credo religiosi e adesioni politiche, tutti ugualmente riconosciuti senza alcun privilegio». Vogliono un incontro con Renato Guarini, il rettore in persona, affinché dia loro il consenso a poter manifestare in concomitanza con l’arrivo del papa all’università. Un tira e molla di due ore, poi finalmente l’incontro col «magnifico» che li riceve promettendogli la libertà di manifestare. Certo, non si potrà farlo liberamente, ma si dovrà restare all’interno di un’area prestabilita, tra la statua della Minerva e la facoltà di Lettere, ma agli studenti va benissimo così. Basta vedere i loro sorrisi mentre abbandonano gli uffici del rettorato. Sorrisi non paragonabili a quelli che avranno da lì a poche ore con l’annuncio della Santa Sede che per i ragazzi è una liberazione.
E adesso? No papa no party? Neanche per idea, la mobilitazione continua. Con o senza Ratzinger. Ora però gli obiettivi delle proteste studentesche cambiano prospettive. Attraversano il Tevere, e dal Vaticano passano direttamente ai palazzi della politica. Ora la «calda» accoglienza spetterà al ministro dell’università Mussi e al sindaco di Roma Veltroni. «E’ uno scandalo – dice Francesco – che vengano dati miliardi di finanziamenti pubblici per strutture cattoliche che si occupano di cura, di assistenza e di formazione. Veltroni e soprattutto Mussi ci dovranno comunque spiegare perché in due anni non ci sono stati passaggi significativi sotto il profilo dei finanziamenti per l’università pubblica e per la ricerca».
Confermati anche tutti gli appuntamenti della «settimana anticlericale». «Frocessione» compresa. Il corteo partirà giovedì alle 12 da piazzale Aldo Moro e sfilerà per le vie di San Lorenzo per «mettere a nudo», dicono gli organizzatori, «l’omofobia e la misoginia vaticane». Perché «non ci basta il Papa fuori dalla Sapienza, lo vogliamo fuori dalle nostre vite».
di Stefano Milani – Dal Manifesto