Ecco l’appello del Coordinamento nazionale di Sinistra Critica per una lista unitaria della sinistra anticapitalista
La caduta del governo Prodi delinea il disastro di un’ipotesi politica debole e mal congegnata. In soli diciotto mesi il centrosinistra, la mitica Unione che doveva cambiare “davvero” l’Italia, ha inanellato un fallimento dopo l’altro lasciando dietro di sé macerie ingombranti. Un disastro materiale, fatto di impoverimento reale dei lavoratori e lavoratrici, di ulteriore precarizzazione del lavoro – ad esempio con la detassazione degli straordinari – di arricchimento delle imprese foraggiate con aiuti di stato inediti e massicci; ma anche un disastro politico che ha provocato disillusione, disincanto, perdita di fiducia, distacco dalla politica e dall’impegno attivo, demoralizzazione.
Prodi non è caduto semplicemente per una congiura mastelliana. Prodi cade anche perché isolato socialmente e in rotta con l’elettorato che, faticosamente e con grandi sacrifici, ne aveva consentito la vittoria in primo luogo per ostacolare le destre e l’odioso populismo berlusconiano. E’ questo elemento ad aver generato la debolezza del governo, la sua fragilità e quindi la sua esposizione alle manovre di Mastella.
In questo disastro spicca il fallimento della sinistra di governo. La linea governista e l’ipotesi di alleanza con la “borghesia buona” ha fatto arretrare i diritti del lavoro, ha favorito le imprese e le banche e permette oggi un ritorno massiccio delle destre. Alla disfatta politica rappresentata dalle spedizioni militari, dall’aumento delle spese militari, dal cuneo fiscale, dal pacchetto Welfare, dal tradimento delle aspettative di uguaglianza del movimento lgbtq, dal Decreto Sicurezza, dalle liberalizzazioni di Bersani, dalla costruzione della base di Vicenza, dalle promozioni di De Gennaro, si aggiunge una disfatta sociale perché il più delle volte gli insuccessi, gli smacchi sono stati esibiti come piccole vittorie, ipotetiche riduzioni del danno. Basterebbe vedere oggi lo sbandamento della sinistra e lo spaesamento degli stessi lavoratori e lavoratrici per rendersi conto di quanto grande sia invece il danno procurato.
Il fallimento della sinistra è senza appello e solo un grande processo di ripensamento generale e di rinnovamento radicale a tutti i livelli – a partire dai gruppi dirigenti – potrebbe permettere una nuova ipotesi di lavoro. Oggi è invece necessario ribadire il discrimine tra una sinistra votata al “compromesso preventivo” e una sinistra anticapitalista, di classe, indisponibile al governo con il Pd,in sintonia con i movimenti sociali
Questo non vuol dire che nell’immediato non ci sia bisogno di una forte unità sociale su piattaforme nette, proposte radicali – dal rifiuto della guerra alla “moratoria” contro l’attacco alle donne, dalla lotta per il salario ai diritti civili – su una linea di “resistenza sociale” che faccia argine al prevedibile attacco delle destre, di Confindustria o del Vaticano. Sapendo che non ci possono essere ambiguità o esitazioni sulle piattaforme: non si può essere contro la guerra e sostenere l’intervento in Libano o in Afghanistan; non si può essere contro la precarietà e votare il Pacchetto Welfare; non si può essere per la laicità e l’autodeterminazione delle donne e scomunicare chi contesta il Papa.
Questa impostazione non fa venire meno, però, la necessità di ricostruire la sinistra su una piattaforma anticapitalista e di classe. Non crediamo che la lista Arcobaleno rappresenti questa possibilità: il bilancio della sua attività di governo, le linee strategiche su cui si muove, i gruppi dirigenti che propone – come si vede nella formazione della lista e nella scelta del candidato-premier – dicono di una Sinistra incline ancora alla deriva moderata che abbiamo visto all’opera in questi anni e contro la quale ci siamo battuti. Insomma, torna di attualità lo schema delle “due sinistre”: da una parte quella a vocazione governativa legata alla prospettiva dell’Arcobaleno, dall’altra quella anticapitalista, di classe, di opposizione che oggi risulta variamente collocata e articolata anche nelle sue strutture ma che ha già dato alcune prove di dialogo e di lavoro comune.
Per queste ragioni crediamo che a sinistra dell’Arcobaleno sia necessario dare vita a una lista della Sinistra anticapitalista su una piattaforma avanzata di lotta e di rivendicazioni generali: aumento reale del salario, ripubblicizzazione dei servizi sociali, lotta senza quartiere contro gli omicidi sul lavoro, un piano di “rifiuti zero”, contrasto alle spedizioni militari, riduzione spese militari e riconversione industria bellica, difesa dei diritti delle donne, dei diritti civili contro ogni ingerenza vaticana, abolizione della legge 30 e della Bossi-Fini, drastica riduzione dei privilegi istituzionali. Una lista con caratteristiche di unità e pluralità e di innovazione: rotazione degli eletti, tetto ferreo alle indennità percepite, presenza di soggetti diversi. Una lista indisponibile ad alleanze e coalizioni con il Partito democratico ma che sappia ridare fiato e prospettiva a un’alternativa di sistema. Vogliamo lavorare per questo obiettivo nei pochi giorni che restano prima delle scadenze elettorali senza preclusioni o schematismi. Un’ampia unità di classe, su una piattaforma condivisa legata a una pratica di movimento comune è condizione non tanto di successi elettorali o di ambizioni istituzionaliste ma può contribuire a dare una risposta alla crisi e a porre le basi della ricostruzione della sinistra alternativa e di classe.
Il documento di Sinistra Critica su Crisi governo ed elezioni
1.La caduta del governo Prodi delinea il disastro di un gruppo dirigente, di un progetto politico, di un’ipotesi che avevamo fortemente osteggiato e di cui noi stessi non prevedevamo gli attuali effetti distruttivi. In soli diciotto mesi il centrosinistra, la mitica Unione che doveva cambiare “davvero” l’Italia, ha inanellato un fallimento dopo l’altro lasciando dietro di sé macerie ingombranti, ben simboleggiate dai rifiuti accatastati in Campania. Un disastro materiale, fatto di impoverimento reale dei lavoratori e lavoratrici, di ulteriore precarizzazione del lavoro – ad esempio con la detassazione degli straordinari – di arricchimento delle casse delle imprese foraggiate con aiuti di stato inediti e massicci; ma anche un disastro morale che ha provocato disillusione, disincanto, perdita di fiducia, distacco dalla politica e dall’impegno attivo, demoralizzazione. Il bilancio non ammette repliche o giustificazioni. In pochi, forse, ricorderanno la tesi principe di Fausto Bertinotti che sosteneva che “l’alternanza è propedeutica all’alternativa”. La nostra obiezione di allora si è purtroppo avverata e l’alternanza si è dimostrata per quello che è realmente: un’alleanza, sbagliata, con la borghesia che favorisce inesorabilmente il rafforzamento delle destre.
2.Prodi non è caduto semplicemente per una congiura mastelliana o per una bega familar-giudiziaria. Certo, il fattore scatenante la crisi è questo e questo già dice della natura dell’Unione, spacciata due anni fa come la nuova formula politica che avrebbe cambiato la geografia della sinistra. Prodi cade perché isolato socialmente e in rotta con la propria base sociale, con l’elettorato che, faticosamente e con grandi sacrifici, ne aveva consentito la vittoria in primo luogo per ostacolare le destre e l’odioso populismo berlusconiano. Questa forza è stata strattonata, maltrattata, attaccata socialmente con politiche liberiste e con dei voltafaccia evidenti come nel caso delle spese militari e della guerra, o delle politiche verso i migranti o le droghe e i diritti civili. E’ questo elemento ad aver generato la debolezza del governo, la sua fragilità e quindi la sua esposizione alle manovre di bassa lega orchestrata da centristi e da guasconi come Mastella. Il problema è che l’esito era, purtroppo, prevedibile vista la natura degli allora Ds e Margherita, oggi Pd, e la natura dello stesso Prodi esplicitata già nel suo primo governo e poi per cinque anni a capo della Commissione europea: un mix di liberismo e paternalismo che ha avvelenato la politica italiana degli ultimi dodici anni.
3.In questo disastro spicca il fallimento della sinistra di governo: non solo del suo principale leader, Fausto Bertinotti, ma anche di tutti i gruppi dirigenti, a cominciare da Rifondazione ma senza dimentare il Pdci, che ne hanno seguito supinamente la linea governista e l’ipotesi di alleanza con la “borghesia buona” come venivano definiti i vari Padoa Schiopp, Draghi o Marchionne. Se qualche anno fa Nanni Moretti poteva rivolgersi ai leader di Ds e Margherita affermando che “con tali dirigenti non vinceremo mai”, oggi la stessa accusa può essere lanciata nei confronti di Giordano, Mussi, Diliberto e Pecoraro Scanio. Anche qui di tratta di una disfatta materiale per aver accettato qualsiasi misura proponesse il governo – dalle spedizioni militari all’aumento delle spese militari; dal cuneo fiscale a vantaggio delle imprese alla diminuzione dell’Ires per Montezemolo e soci; dal pacchetto Welfare, osteggiato con una grande manifestazione, al Decreto Sicurezza di stampo razzista; dalle liberalizzazioni di Bersani a una visione di politica estera improntata all’atlantismo con connessa realizzazione della base di Vicenza; dalla nomina di De Gennaro a supercommissario rifiuti alle condanne nei confronti di chi ha protestato contro la visita del Papa all’Università. Un elenco agghiacciante non già di compromessi al ribasso ma di veri e propri cedimenti che non a caso hanno ripercussioni gravi sui livelli di militanza e di adesione anche elettorale a tutti i partiti della cosiddetta “Sinistra-l’Arcobaleno”. Ma la disfatta è anche morale perché il più delle volte gli insuccessi, gli smacchi subiti sono stati esibiti come piccole vittorie, ipotetiche riduzioni di un danno che ad ogni mese si è accresciuto. Solo la visione della caduta del governo, gli entusiasmi delle destre, lo sbandamento della sinistra e lo spaesamento dei vari movimenti e degli stessi lavoratori e lavoratrici rende evidente quanto grande sia il danno procurato. Questi gruppi dirigenti non hanno possibilità di appello, la loro sconfitta riguarda tutti noi e quindi è necessario e giusto che vadano a casa, che ammettano di aver fallito e lascino il campo. Altri dirigenti potranno farsi avanti ed essere giudicati sulla base delle proposte avanzate. Del resto, la dimensione del disastro realizzato non fa che porre, ancora più nitidamente di quanto da noi indicato, la necessità di un discrimine all’interno della sinistra tra chi intende continuare sulla strada del compromesso preventivo e della riduzione del danno e chi vuole invece costruire una sinistra anticapitalista, indipendente dalla borghesia italiana e quindi anche dal Pd, ancorata al conflitto sociale con una visione di rottura del sistema e quindi con una vocazione rivoluzionaria.
4.In questo contesto di crisi, il quadro che si presenta è denso di inquietudini e di rischi. Lo sbocco politico della crisi non promette nulla di buono: governo istituzionale o elezioni anticipate con evidente vittoria della destra, così come, putroppo, una riedizione, improbabile ma sempre possibile, dell’attuale centrosinistra, sarebbero all’insegna del liberismo e dell’adesione alla guerra globale. Anche per questo non siamo e non possiamo essere disposti a soluzioni di governo di qualsiasi tipo. Anche la soluzione della crisi italiana – crisi innanzitutto politica e non di forma istituzionale – passa per una chiarificazione dei differenti progetti politici, anche a sinistra, possibile solo nel quadro di una legge realmente proporzionale in grado di definire la forza e il peso dei vari partiti e quindi una dialettica realmente democratica e una maggiore rispondenza tra paese reale e paese legale.
5.Nell’immediato, quindi, non c’è dubbio che bisogna attrezzarsi per una linea di “resistenza sociale”, per un rafforzamento dei dispositivi di opposizione sociale e di generalizzazione e riunificazione del conflitto. Negli anni passati i vari movimenti sono stati in grado di generare momenti alti di opposizione sociale – non a caso oggi sanzionati pesantemente dalle varie magistrature d’Italia, da Genova a Cosenza – mancando più volte l’appuntamento della ricomposizione e del ricompattamento di spezzoni diversi tra loro. Di fronte agli attacchi che certamente si coaguleranno nei prossimi mesi questa esigenza è indispensabile a partire dal rafforzamento, e allargamento, degli strumenti oggi a disposizione: i patti contro guerra e precarietà, le mobilitazioni femministe, quelle ecologiste, i grumi di resistenza nel mondo del lavoro sia in ambito extraconfederale sia nella capacità di resistenza della Rete28aprile, come dimostra la battaglia contro il contratto dei metalmeccanici che scambia salario con flessibilità. Una capacità vertenziale quindi e di generalizzazione delle resistenza che passi per alcuni momenti di coagulo. Ne indichiamo almeno due: una grande manifestazione contro le politiche di guerra da tenersi a marzo in occasione del voto sul rifinanziamento delle missioni militari (che si farà ugualmente anche a Camere sciolte); e una manifestazione sociale, contro la precarietà, per il salario e contro il carovita, da tenersi eventualmente il 1 maggio (previa verifica e discussione diffusa). Sono solo le prime due occasioni per dimostrare una capacità di “resistenza” – che non eliminano l’importanza di altri appuntamenti come il No Vat del 9 febbraio, l’8 marzo e altre ancora – e una maggiore capacità di coordinamento generale.
6.E’ chiaro che il cambiamento del quadro politico può porre diversamente i rapporti tra le varie sinistre e, soprattutto, tra diversi spezzoni di movimento che in questi due anni si sono divisi anche per la vicenda del governo. E’ una possibilità, non scontata, da valutare con equilibrio. Non propendiamo per atteggiamenti settari ma nemmeno siamo disposti a fare sconti sui contenuti. La resistenza sociale si regge sull’unità di azione attorno a piattaforme qualificanti, non mediate al ribasso e forti nella loro radicalità. Tutta l’esperienza degli ultimi anni dimostra questa realtà. Su guerra, ambiente, femminismo, diritti civili, lavoro e precarietà si possono costruire ampie mobilitazioni più forti e più ampi coordinamenti di lotta ma non ci possono essere ambiguità o esitazioni sulle piattaforme. Il no alla guerra è “senza se e senza ma”, non c’è Libano o Afghanistan che tenga; il no alla precarietà è netto, non c’è un Welfare che possa essere sostenuto; le politiche concertative di Cgil, Cisl e Uil vanno osteggiate anche se queste organizzazioni dovessero finalmente ricordarsi come si fa uno sciopero generale una volta che le destre vincessero le elezioni; il Papa è a capo di un progetto reazionario e conservatore di riorganizzazione della Chiesa e, per questo, di invadenza della sfera civile e politica della Repubblica a partire dall’attacco all’autodeterminazione delle donne. Potremmo continuare: l’esperienza degli ultimi anni, le piattaforme prodotte, le sperimentazioni di movimento realizzate sono acquisizioni da cui si parte, non esperienza da accantonare. E l’unità d’azione si fa, come sempre, su contenuti qualificati e su una dinamica di conflitto progressivo.
7.La necessità dell’unità d’azione non fa venire meno, ovviamente, la necessaria chiarificazione a sinistra. Noi rivendichiamo con orgoglio la giustezza della nostra scelta di dare vita al progetto autonomo e indipendente di Sinistra Critica. Tutte le nostre analisi hanno retto egregiamente alla prova dei fatti: avevamo avvertito dell’impossibilità di governare con Prodi e il Pd; della pericolosità di accettare un compromesso dietro l’altro; della necessità di fissare punti invalicabili per una soggettività politica di sinistra e comunista, ad esempio il rifiuto di avallare la guerra; avevamo spiegato più e più volte come le capitolazioni della sinistra fossero il miglior viatico per la vittoria delle destre, e così via. Oggi i fatti si incaricano di darci ragione e, purtroppo, sappiamo che in politica “l’avevamo detto” quasi mai paga o viene ascoltato. Ma comunque l’avevamo detto. Non si tratta di ottenere gratifiche o congratulazioni postume quanto di ribadire la giustezza di un’analisi di fondo e di una progettualità. Noi crediamo che oggi occorra ricostruire la sinistra di opposizione, la sinistra anticapitalista. Questo è il compito per cui è nata Sinistra Critica. A questo obiettivo è utile una politica di “unità di azione” e di allargamento del conflitto e delle mobilitazioni. Ma questo obiettivo non può esimersi da una chiara e lucida visione programmatica legata a un comportamento politico limpido e coerente. Noi ci riconosciamo nel comportamento parlamentare degli esponenti di Sinistra Critica e di Franco Turigliatto in particolare: un’opposizione di sinistra dichiarata ripetutamente e ripetutamente validata dal comportamento parlamentare non vota a favore di un governo che rivendica orgogliosamente tutto quello che abbiamo contestato. Quel voto altro non ha rappresentato che la traduzione di quanto Sinistra Critica vuole essere: il motore di una Sinistra di opposizione, di classe, anticapitalista, irriducibile al compromesso sociale e alle mediazioni con la borghesia italiana. E’ questa la sinistra che dunque vogliamo costruire e il voto sulla fiducia a Prodi, dopo quello su Finanziaria, Welfare e Decreto Sicurezza, segna l’ennesimo spartiacque con l’altra sinistra, quella moderata e orientata al compromesso sociale e che oggi punta a riunificarsi sotto il simbolo dell’Arcobaleno. Per quanto ci riguarda, dunque, il processo di resistenza sociale e il progetto di ricostruzione della sinistra di classe – nel quale collochiamo la nostra proposta di “Costituente anticapitalista” – si sviluppa nella distinzione tra i due grandi orientamenti delle attuali sinistre: da una parte quella a vocazione governativa legata alla prospettiva dell’Arcobaleno, dall’altra quella anticapitalista, di classe, di opposizione che oggi risulta variamente collocata e articolata anche nelle sue strutture ma che ha già dato alcune prove di dialogo e di lavoro comune. E’ dentro questa distinzione che collochiamo Sinistra Critica il cuo sviluppo e costruzione è per noi condizione essenziale di questo processo di ricostruzione.
8.Per questo rilanciamo con molta forza e determinazione la campagna di tesseramento 2008 a Sinistra Critica legata a una campagna per “la sinistra di opposizione” che partirà nei prossimi giorni e che avrà come suo primo momento pubblico un’assemblea pubblica a carattere nazionale a Torino il 16 febbraio legata al primo seminario dei lavoratori e lavoratrici di Sinistra Critica che si terrà in quella sede.
9.Sul piano elettorale, infine, in caso di elezioni anticipate, crediamo che a sinistra dell’Arcobaleno sia necessario dare vita a una lista della Sinistra antagonista su una piattaforma avanzata di lotta e di rivendicazioni generali (sul salario, sulla ripubblicizzazione dei servizi essenziali e delle grandi strutture nevralgiche del paese – comunicazioni, energia, finanza, trasporti, informazione – sulla pace, l’ambiente, i diritti civili, la difesa dell’autodeterminazione delle donne, i diritti dei, delle migranti, un piano articolato di servizi sociali) con caratterische di unità e pluralità. Una lista indisponibile ad alleanze e coalizioni con il Partito democratico ma che sappia ridare fiato e prospettiva a un’alternativa di sistema. Sinistra Critica si confronterà con tutte le forze disponibili a questo progetto per poi definire una valutazione conclusiva.
n relazione all’incarico conferito dal presidente della Repubblica al presidente del Senato, Franco Marini, Il Gruppo operativo nazionale di Sinistra Critica dichiara quanto segue:
– Noi non potremo sostenere nessun governo che abbia dietro la Confindustria, la Cei o l’Unione europea. Il fallimento del governo Prodi è innanzitutto il fallimento di un governo isolato socialmente dalle sue stesse politiche di sostegno a Confindustria e al padronato italiano e contrarie alla base sociale ed elettorale che ne ha consentito la vittoria. Qualsiasi continuità con quella politica contribuirebbe ad affossare le prospettive del cambiamento.
– In questo senso, una via di uscita dalla crisi è il recupero della radicalità e dell’appartenenza di classe della sinistra il cui fallimento è conseguente al fallimento del governo Prodi su cui ha investito tutte le proprie forze. Per questo noi vogliamo lavorare a un lungo processo di ricostruzione di una “sinistra che faccia la sinistra”, capace di rompere con il liberismo del Partito Democratico, che non sia al governo a tutti i costi e che recuperi un forte rapporto con lavoratori e lavoratrici, giovani, precari, con i movimenti sociali in un progetto di opposizione sociale e politica. Una sinistra in grado di riproporre il tema della “rivoluzione” del paese, su basi democratiche e di partecipazione popolare. A quarant’anni dal ’68 e nel suo anniversario, l’Italia ha di nuovo bisogno di un grande rivolgimento, politico, sociale, ideale e morale: è questa ipotesi che sorregge la nostra idea di sinistra.
– Anche per questo obiettivo, noi proponiamo il ritorno al sistema proporzionale senza sbarramenti in cui le forze politiche presentino liberamente il proprio programma, si confrontino democraticamente senza coalizioni forzate.
– Noi rimaniamo impegnati oggi nelle vertenze più immediate e urgenti del movimento di alternativa:
il No al contratto dei metalmeccanici,
la manifestazione di Cosenza contro la repressione dei movimenti del 2 febbraio;
il NoVat del 9 febbraio contro le ingerenze vaticane;
la manifestazione nazionale contro la guerra del 1 marzo.
Pensiamo che in questo percorso sia necessario dare visibilità e forza a una piattaforma generale che “rovesci il paese” per un programma che preveda “più salari e meno profitti”, “più democrazia e meno privilegi”, “più servizi sociali e meno guerre”, “più diritti e meno ingerenze”.
In questo senso indichiamo alcune emergenze sulle quali svilupperemo la discussione in Sinistra Critica e all’esterno – a partire dal Convegno su lavoro di Torino del 16-17 febbraio – anche in vista dell’imminente campagna elettorale:
– l’innalzamento dei salari di almeno 150 euro netti mensili con una legge che stabilisca un salario minimo;
– una patrimoniale a partire dai beni immobiliari del Vaticano;
– l’abolizione della legge 30 e della Bossi-Fini;
– un piano straordinario per la sicurezza sul lavoro con assunzione immediata di nuovi ispettori e con un prelievo straordinario ai profitti delle imprese;
– la riduzione drastica delle indennità degli eletti a tutti i livelli e l’elezione diretta di dirigenti preposti a incarichi pubblici;
– la partecipazione popolare e democratica a tutte le grandi decisioni, a partire dai territori;
– la drastica riduzione delle spese militari e il ritiro delle truppe italiane dai territori di guerra;
– la ri-pubblicizzazione dei servizi sociali e dei beni comuni;
– un piano-rifiuti centrato su raccolta differenziata, no a inceneritori, progetto rifiuti-zero contro le ecomafie;
– un vasto piano di diritti civili e di libertà a partire dalla libera scelta sessuale, contro patriarcato, il nuovo clericalismo, i rigurgiti fascisti.
di Sc-MN