a
Dei migranti si è parlato e si parla molto. Da destra e da sinistra. Si è preteso di distinguere il migrante “onesto” da quello “disonesto”; quello che è “qui” per lavorare e quello che “qui” è venuto per delinquere; quello in coda per ore di notte davanti alle questure per rinnovare il permesso di soggiorno, dal “clandestino”.
In questo lavoro della differenza, che ha prodotto frettolosi pacchetti sicurezza e retoriche securitarie, è stato fatto sfumare il nocciolo della questione. Una legge che la clandestinità la produce, applicata con procedure di rinnovo dei permessi di soggiorno del tutto ingestibili che hanno arricchito le Poste e che hanno relegato centinaia di migliaia di migranti nel limbo di un’attesa ingiusta e ricattabile.
Un mercato del lavoro che assorbe i migranti trattenendoli a forza tra lavoro e non-lavoro, che ne fa precari anche in rapporto ai diritti di cittadinanza, che li traveste da soci di cooperativa per incrementarne lo sfruttamento, che trattiene il lavoro di cura delle badanti e quello degli edili al nero. L’impossibilità di trovare casa, gli sfratti, come ulteriore meccanismo di filtro e di gerarchizzazione nell’accesso alla cittadinanza.
Incrociare conflitti di lavoro e battaglie per i diritti di cittadinanza è quanto ci sembra decisivo per aprire un nuovo ciclo di lotte. I migranti non sono oggetto di discorso, bersagli della retorica degli imprenditori politici della paura, ma soggetti in grado, in particolare nei nostri territori, di costruire le proprie piattaforme rivendicative e le proprie organizzazioni di lotta. Hanno occupato le case e autodifeso gli sfratti. Bloccato le fabbriche e i cantieri. Costretto al confronto prefetti e questure. Attraversato le più significative scadenze di movimento. Quelle contro la guerra, contro la precarietà, contro i CPT.
A Verona, al centro della grande fabbrica diffusa, al cuore dell’area metropolitana che si allarga da Trieste a Milano, un sindaco impresentabile, che marcia in testa ai cortei dei nazisti e dei razzisti, ha deciso che i flussi migratori si governano con la paura. Ha cambiato i regolamenti per assegnare le case popolari per escludere i migranti. Ha fatto installare panchine nei parchi sulle quali non è possibile sdraiarsi. Ha scatenato una guerra personale contro le attività commerciali degli stranieri. Trasformato le vie del centro cittadino in spazi segregati. Importa come modello di governance metropolitana le sperimentazioni demenziali di sperduti villaggi di campagna. E’ ridicolo e pericoloso.
Pericoloso perché accredita il razzismo come legittimo strumento di governo. Perchè toglie la parola. Perchè a traino delle sue tragicomiche, ma ben sostenute dalla stampa, improvvisazioni, vanno a rimorchio le politiche altrettanto impresentabili dei sindaci dei muri di via Anelli o degli sgomberi lungo il Reno. Ridicolo, perché le sue politiche sono state giuridicamente sconfessate dall’Unione Europea, perché la città che immagina è forte coi deboli e debole coi forti, perché non si vergogna di pretendere di fermare col petto in fuori ciò che non può essere fermato, la libertà di movimento, il comune dell’integrazione, l’autovalorizzazione soggettiva di donne e di uomini che attraversano gli spazi di una città in rapida trasformazione.
A Verona, si tratta di porre al centro della considerazione una questione decisiva. I migranti si sono aperti uno spazio che nessuno può richiudere. Frutto dell’evidenza che i migranti non hanno governi amici. Hanno occupato le case con un sindaco di centrosinistra. Bloccato i cantieri, recuperato reddito e imposto i propri diritti con un sindaco di destra. Non aspettano le elezioni per costruire le proprie piattaforme e se ne fottono di un teatro della rappresentanza che comunque non possono calcare.
I migranti sono parte di un comune in divenire, in cui cresce la libertà e si meticciano le identità. In cui al delirio della sicurezza vengono opposti il desiderio, la fantasia e la creatività. In cui la potenza di autodeterminazione e di autonomia si fa istituzione, sindacato sociale, capacità di lotta e di mobilitazione. Scoglio su cui si infrange la verticalità della disposizione amministrativa e risata che seppellisce l’idiozia.
Non vogliamo che le città diventino spazi difesi. Che si erigano confini. Che chi produce la ricchezza di giorno debba stare nascosto di notte. Invisibile. Senza casa, senza diritti, muto. Siamo noi a volere sicurezza: vogliamo reddito, diritti, dignità. Vogliamo le case e costruirci un futuro. Vogliamo ciò che ci spetta: reddito e salario.
Chiamiamo tutte le reti di intervento sull’immigrazione e sul precariato, gli antirazzisti e i pacifisti, le realtà di movimento, i centri sociali, i sindacati di base e i collettivi alla costruzione di una giornata dell’indignazione a Verona il 25 aprile.
Contro il razzismo, lo sfruttamento, contro il fascismo e i fascisti in camicia verde o bruna, contro i sindaci della basi di guerra e della guerra alla socialità.
Perché i cittadini si scuotano la polvere dalle scarpe e si rimettano in movimento.
di globalproject verona