Il programma di Scajola e la sua impossibilità Alcuni buoni motivi per non crederci
Dietro il maschio decisionismo di Scajola, dietro un esecutivo «in tuta mimetica», il re è nudo. Sconcerta l’improvvisazione con cui si è annunciato il programma nucleare, in un contesto normativo e industriale inadeguato a garantire affidabilità e sicurezza nelle fasi di progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti.
Progettazione che non si farà in Italia, come non la si fece per Trino, Latina, Garigliano e Caorso, ma almeno quel programma ci aveva messo in grado di capire e intervenire sul progetto e di arrivare, dopo 15 anni, alla definizione del Pun (Progetto unificato nucleare). Quanto alla costruzione, il nanismo industriale italiano, che pure non ha impedito lauti profitti a una miriade di piccoli e medi imprenditori, non permette illusioni circa l’affidamento delle commesse nucleari, una volta distrutte o cedute le competenze e le capacità del settore elettromeccanico nazionale. Restano i soliti noti dell’ingegneria civile: Impregilo (inceneritore di Acerra), Italcementi (cemento fasullo) e le minimizzate capacità dell’Ansaldo. Quanto all’esercizio, una volta fiore all’occhiello del vecchio Enel pubblico, insieme al personale specializzato sono andati in pensione anche i criteri (e le strutture) che sovrintendevano alla gestione degli impianti nucleari: personale qualificato, ottimizzazione del ciclo del combustibile, gestione delle salvaguardie, quality assurance e altre attività tipicamente nucleari che non si improvvisano. Esiziale infine, ai fini della credibilità del programma, è l’impreparazione degli addetti a qualsiasi livello, perché in tutti questi anni le industrie e i governi di ogni colore non hanno speso un soldo nella ricerca e nella formazione, universitaria e non. Come rimediare a queste mancanze? L’organico dell’Enea è sottodimensionato, e spesso composto di personale con contratti a termine. Anche ammesso che questi deficit strutturali siano colmati con contractor e consulenti stranieri, quale autorità di sicurezza sarà in grado di portare avanti l’istruttoria necessaria a validare il progetto e a rilasciare la licenza di esercizio per questi impianti?
Dal canto suo il governo ha approntato un ddl specifico da cui si evince che: a) i nuovi impianti nucleari possono essere di più tipologie; b) la scelta dei siti e i criteri di localizzazione di questi impianti e del deposito nazionale per le scorie sono delegati al governo; c) questi criteri includono quello della sicurezza nazionale; d) l’unico organo abilitato a dirimere le controversie relative a tali impianti è il Tar del Lazio ed eventuali misure cautelari prese da altra autorità giudiziaria restano sospese fino a pronuncia dello stesso.
Il primo punto lascia intendere che la scelta del tipo di reattore potrebbe non essere unica. Vale a dire che se la Francia è in pole position per la scelta del reattore Epr (considerati gli stretti legami di Edf con Edison ed Enel e le simpatie per Sarkozy), la piaggeria di Berlusconi verso Bush lascia una porta aperta per l’Ap1000 della Westinghouse, anche se optare per due tipi di impianto a fronte di un programma di sole 5 centrali costituirebbe il massimo dell’inettitudine! Quanto agli altri punti, essi possono essere riassunti con due frasi: militarizzazione del territorio e aggiramento delle norme e procedure sull’informazione e partecipazione dei cittadini alle scelte riguardanti questo tipo di insediamenti. E’ bene ricordare che già il decreto Scanzano (governo Berlusconi) definiva il deposito nazionale per le scorie «opera di difesa militare» e che il Dlgs 16.02.08 (governo Prodi) introduce la possibilità di escludere da qualunque valutazione ambientale le opere considerate dall’esecutivo di difesa nazionale o su cui venga apposto il segreto di stato.
Come farà poi Scajola a definire entro l’anno le localizzazioni delle centrali nucleari, viste le levate di scudi di molte regioni, compresa la fedele Lombardia? Qui entra in gioco l’arte del taroccamento: gli impianti da costruire sono cinque come i siti dei vecchi impianti in dismissione (Trino, Caorso, Montalto, Latina, Garigliano). Sovrapponendo le due serie si semplifica l’istruttoria per la scelta del sito e si evita in teoria il prevedibile contenzioso con le popolazioni perché i siti sono già licenziati, e il decommissioning delle vecchie istallazioni, almeno per le parti strutturali. Tre di questi siti (Garigliano, Trino e Caorso) sono su due fiumi: il Garigliano di portata modesta, e il Po che già non dispone di acqua a sufficienza per gli impianti termici esistenti lungo il suo corso: figurarsi per due nucleari da 1300-1600 Mw che richiedono dai 1800 ai 4300 mc/minuto ciascuno (30.000-72.000 litri/secondo). Si deve quindi ricorrere a torri di raffreddamento, strutture di cemento armato alte 200 metri e altrettanto larghe alla base che, oltre a far lievitare i costi di impianto del 30-40% e a ridurne l’efficienza, immettono in atmosfera milioni di tonnellate di vapore acqueo, riscaldando l’aria.
Resta da spiegare la vocazione nucleare di Confindustria. Intanto va rimarcato che le grosse utilities elettriche (Enel ed Edison) siedono ai vertici della struttura presieduta da Marcegaglia, la cui impresa di famiglia completa con A2A il tiro a quattro di tutta l’operazione. Si tratta di incamerare gli aiuti di stato senza i quali non si avvia nessun cantiere, aiuti che – sull’esempio degli Usa – potranno consistere in agevolazioni tariffarie per i primi anni di esercizio (un CIP 6 nucleare); garanzie sovrane, cioè dello stato, su finanziamenti e assicurazione; erogazioni a fondo perduto. Il tutto da compensare redistribuendo le voci «nucleari» già presenti nelle tariffe elettriche e valutabili intorno ai 0,6-0,7 cent/Kwh, cioè per un gettito annuo di oltre 2 miliardi di euro. Sarà così decisivo il ruolo dell’Enel che deve ripianare un indebitamento esorbitante, causato da disinvolte acquisizioni all’estero, specie in Slovacchia dove si sta rivelando disastroso l’acquisto delle centrali nucleari della società Slovenske Elektrarne. Uno scenario inquietante dunque, dove non sarà facile mettere tutti d’accordo, e dove nemmeno si può escludere che il programma abortisca dopo il primo impianto addossandone la colpa ad altri, cosa che è nello stile di Berlusconi. Una ragione in più per rovesciare, insieme alla scelta nucleare, il liberismo imperante anche a sinistra e riproporre la socializzazione di risorse primarie come l’acqua e l’energia. L’italia
Due luoghi comuni sostengono che importiamo energia perché non abbiamo centrali a sufficienza, e la importiamo dalla Francia perché ha le centrali nucleari. La potenza installata in Italia nel 2006 era di 89.800 Mw, a fronte di una domanda di picco di 55.600 Mw, con un margine teorico di sovrapotenza di oltre 34.000 Mw (il 38%, il più alto d’Europa) ma con un grado di utilizzo degli impianti inferiore al 50%. Abbiamo peraltro le tariffe più alte d’Europa: 74,75 €/Mwh (media annuale 2006), tra 17 e 26 € /Mwh superiori alla media europea (ma fino a 40 €/Mwh nelle ore di picco).
LE TARIFFE
Non è dunque la mancanza di centrali, ma l’alto costo del Kwh italiano la causa delle importazioni di energia. Questo alto costo viene attribuito al fatto che non abbiamo il nucleare, mentre le tariffe sono più basse in Francia, che produce il 78% dell’energia elettrica dal nucleare.
LA FRANCIA
A parte che dalla Francia importiamo il 6,4% (su un totale del 15,4%) del nostro fabbisogno, nessuno rileva che le tariffe francesi sono simili a quelle di Germania e Inghilterra, e addirittura superiori a quelle della Spagna (19%). Inoltre, il sistema francese è troppo rigido per seguire le variazioni giornaliere del fabbisogno, perché le centrali nucleari hanno pochissima modulazione, per cui nelle 24 ore generano energia in sovrappiù che deve essere esportata (anche sotto costo) per non dovere fermare gli impianti. Ma questa rigidità costringe la Francia ad importare energia nelle ore di punta con costi elevatissimi.
Angelo Baracca
Giorgio Ferrari
di Mantova Antagonista