«Aver snobbato così Jesse, non invitandolo a parlare alla Convention, è stato uno schiaffo in faccia», spiega Gray. «Obama ha voluto strizzare l’occhio all’establishment bianco che detesta Jackson e Al Sharpton, in quanto “neri arrabbiati”. La sua ascesa segna la morte della storica black politics, provocatoria e di sinistra. Per quanto mi riguarda», aggiunge, «preferirei essere fuori dalla zona verde a Bagdad che alla convention di Denver».
«Barack non è un agente di cambiamento; tra lui e McCain non c’è grande differenza»
NEW YORK — «Obama non è un agente di cambiamento; tra lui e McCain non c’è grande differenza». Kevin Alexander Gray, il 51enne scrittore, giornalista ed attivista afro-americano autore di «The Decline of Black Politics: From Malcolm X to Barack Obama», appena uscito in America, è a Denver insieme al reverendo Jesse Jackson, storico leader nero, di cui nel 1988 gestì la campagna presidenziale in Sud Carolina.
Che cosa rimprovera a Barack Obama?
«Di essere un finto progressista, proprio come Joe Biden, che ha appoggiato la guerra di Bush. Io, cresciuto con l’immagine di Malcolm X che incontra Fidel Castro all’Hotel Theresa di Harlem, inorridisco quando Obama corre a Miami per dire ai cubani “manterrò l’embargo”».
Secondo i repubblicani Obama è perfino troppo liberal.
«Le sembra liberal andare davanti alla lobby ebraica Aipac per affermare “sono un sionista”? O minacciare di ridurre in cenere l’Iran? Le sembra di sinistra mortificare di fronte al mondo intero i padri afro-americani, presunti “assenteisti”, quando uno studio del Boston College sostiene che, al contrario, passano più tempo coi loro figli di quelli bianchi? O, dal pulpito di una chiesa nera, chiamare i neri “boy”, ragazzo, usando un termine razzista usato finora solo dai bianchi?»
Non crede che Obama incarni un’America dove bianco e nero sono ormai concetti superati?
L’idea di un’America post-razziale promossa dai media è ridicola. L’espansione della
black middle class è cosmetica e anzi il divario di ricchezza tra neri e bianchi è peggiorato rispetto ai tempi di Martin Luther King».
Obama si ripromette di correggerlo.
«Come? Al Senato il suo curriculum è stato mediocre, pavido e inefficace. La sua campagna politica è disegnata e diretta da potenti maschi bianchi, guru come Axelrod e David Plouffe. Mi creda: per noi afroamericani Obama è come il poliziotto nero che sbarca nel quartiere: più cattivo degli altri».
Secondo tutti i sondaggi negli Usa vince chi conquista il centro.
«L’America voterebbe chiunque rappresenti davvero i suoi interessi. Se Obama fosse più populista e coraggioso sarebbe ben più avanti nei sondaggi».
Cosa gli consiglia per risalire?
«Scendere tra i comuni mortali ed essere meno elitario. La politica dev’essere personale: non puoi conquistare i cuori della gente con una campagna di marketing tutta hollywoodiana e televisiva. La bolla Obama è esplosa perché dentro c’era solo aria».
Ha fatto male a circondarsi di star?
«La sua intera candidatura è stata costruita dalle star e impacchettata dai mass media, da Scarlett Johansson a George Clooney. Per non parlare poi di Oprah Winfrey, che ha osato accreditare la sua millantata parentela con il “sogno” di Martin Luther King: un’operazione fraudolenta».
Cosa pensa della benedizione conferitagli dal clan Kennedy?
«Camelot non è storia ma mito, come quello di Obama. Non dimentichiamoci che Robert Kennedy permise all’FBI di J. Edgar Hoover di spiare Martin Luther King e JFK non era certo un amico dei neri».
Le piace la moglie Michelle Obama?
«E’ una donna brillante anche se nell’ospedale di Chicago dove era una dirigente fu assunta proprio per buttare fuori i pazienti poveri che non potevano pagare: molti neri».
Però la comunità afro-americana si è schierata tutta con loro.
«Certo: senza i neri non sarebbe mai stato nominato, non se lo dimentichi. Obama ha usato la carta razziale contro Bill Clinton nel sud, per vincere il voto degli afro-americani e l’ex presidente non gliel’ha perdonata. In realtà i due sono molto simili e quando Obama parla sembra che stia recitando interi brani dal libro “Primary Colors”».
Lei ha deciso per chi voterà?
«Sono contento che in gara ci siano Cynthia McKinney e Ralph Nader. Ma come tanti intellettuali della Black Academia, anche io avrei voluto vedere in corsa un candidato come Randall Robinson».
Alessandra Farkas
28 agosto 2008
di dal web