di Danilo Corradi (29-09-2008)
coordinamento nazionale sinistra critica
Dodici banche americane fallite, la più grande nazionalizzazione a stelle e strisce dal ’29, fusioni “difensive” che cambiano il panorama mondiale della finanza, ultimi trimestri negativi per Usa e Ue e recessione tecnica per l’Inghilterra. A poco più di un anno dall’esplosione della “bolla speculativa” sui mutui subprime l’economia mondiale sembra tutt’altro che fuori dalla crisi.
In questa sede possiamo semplicemente elencare alcuni nodi analitici e alcune conseguenze socio-politiche che l’attuale crisi capitalistica ci obbligherà ad affrontare:
1) la teoria che più viene proposta dai guru dell’economia mondiale considera la crisi come conseguenza dei pochi controlli sui sofisticati strumenti finanziari (i derivati) che sono andati moltiplicandosi negli ultimi 15 anni fino a raggiungere un controvalore negli scambi trimestrali di oltre 600trilioni di dollari (oltre 12 volte il PIL mondiale). Pochi controlli e diverse mele marce che hanno “speculato” oltre i limiti della ragione economica. Una teoria che farebbe sorridere se non fosse la più accreditata. Qualcuno forse dimentica che tutto il sistema ha partecipato alla grandissima ascesa della finanza. Hanno partecipato le banche centrali fornendo denaro a costo zero per oltre un decennio, hanno partecipato tutte le grandi aziende che hanno investito in media oltre il 50% delle risorse in strumenti finanziari (nel ’79 il rapporto era 2% investimenti finanziari 79% produttivi ), hanno partecipato i governi sino agli enti locali che hanno acquistato direttamente derivati o promosso truffe come i fondi pensione integrativi.
2) Ma cosa sono i derivati? Sono strumenti finanziari complessi il cui profitto deriva dall’andamento di un titolo (azioni), del prezzo di una merce (petrolio, grano, ecc), da obbligazioni, o da un mix di più prodotti mescolati in proporzioni diverse. Con lo spazio a disposizione possiamo solo dire che la carrateristica che accomuna questi strumenti è il loro “effetto leva”, ovvero il guadagno (o la perdita) è di 20 volte superiore a quella dell’investimento diretto sul titolo. In fase di crescita del mercato azionario, del prezzo del petrolio, del prezzo delle case o del grano moltiplicano i guadagni nominali alimentando contemporaneamente la salita dei titoli sottostanti, e viceversa. È questo il motivo di breve termine per cui al crollo del mutui subprime (mercato dal volere di 1.200 miliardi di dollari) sono seguite perdite nei portafogli di banche, aziende e fondi di venti volte superiori. Un dinamica a spirale, che ha successivamente coinvolto gli utili previsti delle banche e delle aziende coinvolte e di conseguenza i derivati gestiti o collegati a queste aziende e così via. La speculazione ha raggiunto livelli colossali, ai derivati si sono aggiunti i derivati dei derivati, sino ad arrivare ai prodotti complessi e misti (cto, cts ecc) dove, per stessa ammissione degli operatori, si “faceva fatica” a comprendere il reale contenuto finanziario ed economico delle cedole in questione.
3) Mele marce o marcio il sistema? Non abbiamo dubbi nel scegliere la seconda ipotesi. La domanda corretta che a nessuno sembra interessare è: cosa c’e’ alla base dell’incredibile sviluppo senza precedenti dell’attività finanziaria? Marx avrebbe detto che lo sviluppo del capitale commerciale o finanziario è inversamente proporzionale al saggio di profitto garantito da investimenti produttivi. E’ ciò che è successo nel lungo ciclo di crescita lenta dell’economia mondiale iniziato nel ’73-’74 e caratterizzato da una tendenziale saturazione dei mercati di sbocco e da una conseguente tendenza ribassista dei saggi di profitto. È in questo contesto che la borghesia interviene accelerando 3 caratteristiche classiche della produzione capitalistica portandole a limiti quantitativi senza precedenti:
a) Aumentare il saggio di sfruttamento e quindi la massa del plusvalore. Aumento dell’orario di lavoro, non recupero dell’inflazione e della produttività dei salari, tagli allo stato sociale, precarietà ecc! risultato: in 35 anni oltre il 20% della ricchezza mondiale è stata trasferita dal monte salari ai profitti contemporaneamente a un aumento relativo e assoluto della classe dei salariati. Il più grande trasferimento di ricchezza da una classe all’altra dalla nascita del capitalismo a oggi.
b) Aumento della ricerca aggressiva di nuovi mercati di sbocco e accentuazione dello scambio diseguale tra paesi a diversa composizione organica del capitale. È quello che abbiamo chiamato globalizzazione liberista, crisi del debito, guerre per le materie prime, delocalizzazione produttiva, conversione dei paesi a “socialismo reale” al libero mercato ecc!.
c) Queste mosse hanno certo aumentato la massa di plusvalore estratta dal capitale, ma non hanno risolto i due problemi di fondo: la tendenza alla sovraproduzione e la riduzione (media) della profittabilità degli investimenti produttivi. I bassi aumenti della produzione negli ultimi treant’anni e anche della produttività (al contrario di quello che comunemente si pensa sulla rivoluzione informatica) sono li a testimoniare tutta la difficoltà non risolta.
d) La finanza è così diventata, progressivamente prima esponenzialmente poi, un terreno dove ricercare sempre più scambi diseguali e profitti a breve termine riducendo rischi (comprare e vendere obbligazioni o case è meno “rischioso” di aprire una nuova azienda di automobili). L’arrivo di sempre maggiori capitali ha alimentato una continua crescita del mercato finanziario, del denaro e dei profitti fittizi, e di nuovi capitali attratti dal “banchetto”! in una spirale apparentemente senza fine, almeno sino a quando tutti sono convinti che non ci sono limiti alla provvidenza. Ovvero, bastava credere che il prezzo delle case sarebbe aumentato del 10% l’anno per sempre (nel 2006 negli USA una casa costava 3 volete il suo valore ), le azioni e i derivati idem così come il costo del petrolio e delle materie prime! ma così non è. A un certo punto il capitale fittizio (moltiplicato anche sotto la forma del debito al consumo) torna a scontrarsi con una economia reale che sempre più fatica a realizzare il valore delle merci. L’attuale crisi finanziaria non è la causa della crisi dell’economia reale ma l’esatto inverso. Un’immensa bolla speculativa nata da un eccesso di capitale che ha prolungato e moltiplicato la crisi di sovraproduzione. Un fenomeno già visto in passato, ma dalle proporzioni quantitative imparagonabili. Nel 2006 i profitti delle principali aziende quotate nella borsa a stelle e strisce derivavano per oltre il 33% da attività finanziarie, per non parlare dello stato patrimoniale delle stesse di cui ora ci stiamo accorgendo.
In poco più di un anno sono state spazzate vie teorie incapaci di leggere la realtà e tornano di attualità intuizioni marxiane come la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto considerate arcaiche da chi ha creduto alla fine della storia così come all’idea che i soldi crescano sugli alberi.
4) Dai 300mld ai 500mld di dollari per nazionalizzare i colossi dei mutui Freddie e Funny, 85mld per salvare il colosso assicurativo AIG, fino ai 700mld proposti da Bush per rastrellare i derivati spazzatura dai portafogli contaminati e “salvare” il sistema. Circa il 7% del prodotto interno lordo americano (stima del sole 24ore del 21/09) regalato alla finanza per tappare i buchi (alla faccia della fine dello stato nazione) . I garanti del libero mercato mondiale stanno costruendo il più grande intervento statale in economia mai registrato dal capitalismo. La legge del mercato vale fino a quando garantisce la concorrenza al ribasso dei salari e dei servizi sociali. Il tabù del debito pubblico utilizzato per tagliare scuola, sanità e pensioni si scioglie come neve al sole di fronte all’obiettivo di socializzare le perdite del grande capitale. Ad oggi non solo un dollaro è stato stanziato per le centinaia di migliaia di posti di lavoro persi nei fallimenti e nei ridimensionamenti delle aziende e delle banche o per salvare chi ha perso la prima casa non riuscendo a pagare i mutui.
Interventi che serviranno a poco.
Sono 7000 i mld di dollari di perdite prodotti da i soli Lehman, Aig, Funnie e Freddie pari a metà del prodotto interno lordo americano! difficile credere che la spirale si blocchi con classiche ricette monetariste o con ulteriori interventi pagati dai lavoratori e che hanno l’effetto di deprimere ulteriormente consumi, domanda e produzione premiando contemporaneamente manager e capitalisti. Il problema di Bush, infatti, è quello di salvare una classe più che il sistema, perché la crisi ad oggi nessuno sembra in grado di fermarla. I crescono i conflitti interni alla borghesia americana e mondiale sulle misure da adottare. Un conflitto non tanto sull’efficacia di una risoluzione complessiva, ma sull’assetto interno e internazionale che emergerà dal sicuro approfondimento della fase attuale. Per semplificare: una crisi di sovrapproduzione di questa portata si risolve solo con un’ampia distruzione del capitale in eccesso, il conflitto interborghese si produrrà sul problema di quale capitale distruggere.
5) Verso la catastrofe? La profondità della crisi è ancora difficile da prevedere, ma saremo facili profeti nel dire che il peggio deve ancora arrivare. La forte integrazione dei mercati mondiali, la mancanza di un forte mercato interno della Cina (quasi 50% esportazioni, 25% investimenti produttivi e infrastrutturali) segnalano tutta la difficoltà di cercare almeno alcuni “fattori anticlici” capaci di ammortizzare la spirale recessiva. Il 2009 sarà l’anno di una recessione profonda e di un tale terremoto finanziario che cambierà il panorama mondiale.
– il dollaro reggerà il suo ruolo di moneta mondiale?
– Il debito pubblico americano continuerà a essere finanziato dalla Cina e dalla Arabia saudita o diventerà insostenibile per l’economia mondiale?
– Quante banche falliranno ancora e quanto durerà il “credit crunch” ovvero la chiusura dei rubinetti dei prestiti bancari?
– Quanto sarà profonda la recessione e che prezzi in termini di licenziamenti e compressione salariale verranno fatti pagare alla classe lavoratrice?
– In che misura il protezionismo potrà diventare una carta economica per i governi occidentali per “contenere” la recessione, e quali conseguenze in termini di nazionalismo e conflitti militari potrebbero prodursi?
Domande inquietanti e ad oggi di difficile risoluzione. Quello che è certo è che siamo difronte a una duplice conseguenza politica. Da una parte il capitalismo dimostra la sua debolezza e le sue contraddizioni devastanti alimentando la necessità e l’urgenza di una prospettiva anticapitalista, dall’altra parte la crisi verrà scaricata sui lavoratori e sulle lavoratrici, alimentando la guerra tra poveri e le difficoltà nei rapporti di forza tra le classi. È dentro questo quadro che dobbiamo sviluppare un azione politica e una sinistra di classe all’altezza delle contraddizioni del nostro tempo.
di SC – Mantova