La sinistra «ex-di governo» non riesce a trovare una via d’uscita alla propria crisi, nonostante la ripresa delle mobilitazioni. Più che delle diverse ricette avanzate, il punto principale è capire la fase. E la crisi è la vera novità di fase con governi inadatti a approntare misure efficaci perché impossibilitati a agire sulle sue origini. E’ chiaro infatti che si tratta di «crisi di sistema», in cui la bolla speculativa esplosa è la stessa che ha permesso negli ultimi 15 anni di fare profitti enormi a un capitale che è produttivo e finanziario allo stesso tempo.
Le ultime settimane hanno mostrato che i giovani e ampi settori del mondo del lavoro, mantengono una disponibilità alla mobilitazione. Con delle differenze. Da un lato l’onda studentesca esprime la radicalità di una generazione che sa di non aver nulla da perdere perché nulla può aspettarsi dal futuro. Dall’altro, quanto accade nel mondo del lavoro è mosso spesso dalla disperazione e dalla paura e è intriso dello sconforto prodotto da decenni di sconfitte e dalla delusione dei due anni di governo Prodi, con la partecipazione della sinistra radicale e il sostegno degli apparati sindacali.
Situazione non lineare, dunque, con tre priorità. La prima è il rafforzamento e la radicalizzazione di tutte le espressioni di protagonismo sociale, favorendone l’autorganizzazione e la capacità di durare nel tempo strutturando un «nuovo sindacalismo» inteso come capacità dei soggetti sociali di dotarsi di strumenti duraturi di resistenza. In questa direzione l’incontro e il coordinamento tra le diverse lotte, specie degli studenti e dei lavoratori, è l’unità che ci serve. Unità intrecciata a radicalità in grado di raccogliere la sfida politico-strategica che la crisi pone, con un profilo e programma anticapitalista, e rifuggendo dalla nostalgia neo-keynesiana. Si tratta di colpire profitti e rendite accumulate in oltre 20 anni e di risarcire stipendi e salari. La nostra proposta di Salario minimo intercategoriale a 1300 euro al mese va in questa direzione. Ma significa anche porsi sul serio il problema delle nazionalizzazioni di banche e imprese in fallimento e di una «pianificazione democratica» con una prospettiva di gestione pubblica e sociale dell’economia, con la partecipazione diretta e protagonista di lavoratori e lavoratrici. Di fronte al capitalismo, e alla sua crisi, la sinistra o è anticapitalista o non è (si esclude quindi una prospettiva di governo del sistema). Il dibattito e le scadenze devono ruotare attorno a questo. Le elezioni europee offrono uno spazio politico interessante per far vivere una critica anticapitalista intransigente. Una lista anticapitalista avrebbe un suo spazio. A patto che non sia lo specchio di una vecchia sinistra e dei suoi «uomini», tutti privi di credibilità perché responsabili delle macerie in cui ci dibattiamo; a patto che abbia un vero profilo alternativo e che non produca contraddizioni con le scelte politiche concrete: Europa da un lato, Abruzzo dall’altro; a patto che non si vincoli a identità astratte. Noi lavoriamo in questa direzione, se altri vorranno farlo non potremo che esserne contenti.
dal manifesto del 4 dicembre
di Flavia D’angeli