Governo e confindustria – con l’accordo quadro di riforma della contrattazione sottoposto ieri per la firma ai sindacati-burattini Cisl e Uil – hanno posto un nuovo paletto sul nodo politico che la crisi globale sta ponendo con sempre più urgenza. Al di là delle chiacchere vuote su rilancio dei consumi e ammortizzatori “compassionevoli”, a pagarla dovrà essere il lavoro, il lavoro in tutte le sue forme diffuse sulla vita sociale. Il significato generale dell’accordo sta in questo anche se propriamente riguarda la normativa delle forme contrattualizzate, pubbliche e private.
Mentre infatti imperversano cassa integrazione e disoccupazione senza una minima rete di sicurezza sociale diffusa e universale, il governo approfittando delle preoccupazioni immediate dei lavoratori/trici fa passare per accordo che il salario contrattuale non deve neanche più formalmente recuperare le perdite da inflazione ma, se va bene, arrancare dietro gli indici di produttività con il “secondo livello” aziendale di contrattazione. Come dice chiaramente il ministro del welfare Sacconi l’accordo quadro “promuove lo spostamento del cuore della contrattazione dal livello nazionale alla dimensione aziendale e territoriale ove – anche grazie alla detassazione del salario di produttivita’ – le parti sono naturalmente portate a condividere obiettivi e risultati”. E dove il conflitto per condizioni di obiettiva debolezza e dispersione del lavoro diventa ancora più difficile. Di nuovo Sacconi: “per la prima volta, nei fatti, si abbandona l’approccio conflittuale”.
Rispetto al famigerato accordo del luglio ’93 – che con concertazione e inflazione programmata ha contribuito per un quindicennio ad abbattere i salari reali – due in sostanza le novità peggiorative:
* la durata triennale dei contratti tanto per la parte economica che normativa;
* l’inflazione programmata lascia il posto all’Ipca (indice revisionale dei prezzi al consumo) depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati (p. es. petrolio quando tornerà a salire). Esattamente quanto richiesto da mesi dalla confindustria.
Tra le altre chicche, si prevedono poi misure da definire per il “raffreddamento” dei conflitti sindacali.
La Cgil non ha firmato (e va bene: neanche questo solo a settembre, prima della rivolta Alitalia e dell’Onda, era scontato). “Il livello nazionale non recupererà mai l’inflazione reale”, ha detto il segretario generale Epifani che fa poi notare un altro buco nero dell’accordo laddove “la bilateralità si allarga a compiti impropri e crea una casta”, cioè si vincolano erogazioni welfaristiche all’iscrizione a enti bilaterali imprese-sindacati. (Un regalo al sindacato dei servizi, in stile sempre più clientelar-mafioso, a là Cisl). Ma che farà ora, stretta com’è tra le spinte normalizzatrici filo-cisline di parte dell’apparato piddino e tentativi di reazione? Per il momento vedremo che tipo di mobilitazione verrà messa in campo il 13 febbraio con lo sciopero nazionale di Fiom e Funzione Pubblica e se saprà sintonizzarsi su un disagio profondo e più generale della società intorno al nodo: la crisi chi la paga?
Intanto si provi a cercare qualcosa sui media dello sciopero proclamato oggi nel settore dei trasporti ferroviari contro il licenziamento del delegato alla sicurezza Dante De Angelis da parte di Trenitalia!
di Infoaut.