Nel paese più ingiusto d’Europa secondo l’Ocse il distacco tra chi ha troppo e chi ha troppo poco è cresciuto del 33% a partire dalla metà degli anni Ottanta. I figli dei ricchi faranno strada, quelli
di Guglielmo Ragozzino
La proposta di Dario Franceschini non ha alcuna possibilità di passare in parlamento. A ben vedere, nessuna proposta di Franceschini, dati i numeri esistenti alla camera e al senato, tra opposizioni e maggioranze, può diventare legge; ma, finalmente, in quell’area dell’ulivo un po’rinsecchito, c’è qualcuno che dice qualcosa di sinistra, come chiedeva Nanni Moretti, tanti anni fa, al tempo dei girotondi. La questione attuale è quella relativa ai 500 milioni di euro che dovrebbero essere presi ai cittadini più ricchi e restituiti a quelli più poveri. In un quindicennio la forbice tra ricchi e poveri, in Italia, si è molto allargata. I governi di Silvio Berlusconi hanno interpretato molto bene la tendenza prevalente nell’economia, sono stati in modo preciso i governi della ricchezza; e quelli del centro sinistra non hanno potuto e in una certa misura non hanno voluto mettervi rimedio. Così Franceschini si propone di mettere le cose a posto, o meglio di avviare un percorso, ma non va a rotta di collo, anzi innesta subito il freno a mano, in questo caso l’una tantum, cioè una volta soltanto. Altrimenti cosa diranno Merloni e Colaninno e Calearo. E solo attraverso l’aumento dal 43 al 45% dell’imponibile per i redditi superiori a 120mila euro.
Quando la maggior parte di coloro che cercano un lavoro, comunque retribuito, lo trovano, il distacco tra ricchi e poveri è meno sentito. Ma quando si entra in una fase di tale crisi che tutti gli esperti dall’alto della loro ben pagata saggezza assicurano sarà lunga e imprevedibile, è allora che si fanno i conti. Se dalle difficoltà, riflettono i poveri, non c’è modo di uscire presto, allora bisogna dividere diversamente, tra tutti, quel poco che è rimasto. La Confindustria ha un’idea opposta. Per esempio un suo alto esponente (Guidalberto Guidi) dice che «se il sistema resiste lo dobbiamo a quelle categorie che possono permettersi di spendere». Dunque se togliamo loro reddito spendibile per disperderlo come una qualsiasi «Caritas», tra i poveri, andiamo in direzione sbagliata.
E’ una fase lunga questa del trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi, nel nostro paese. A partire dalla metà degli anni Ottanta questo effetto si registra in tutti i trenta paesi che fanno parte dell’Ocse, l’organizzazione con base a Parigi che riunisce i paesi più sviluppati del capitalismo. Thatcher e Reagan all’inizio del periodo considerato, non sono stati con le mani in mano. Da allora, l’aumento medio del distacco tra ricchi e poveri per quanto riguarda redditi da lavoro, capitale e risparmi è stato del 12% nella media dei trenta paesi. Uno spostamento considerevole, uno vero e proprio snaturamento dei rapporti economici e politici precedenti, una sconfitta generale delle classi subalterne. Ma che dire dell’Italia, primatista assoluta, dove il distacco tra ricchi e poveri è cresciuto del 33%! I guasti maggiori, spiega sempre l’Ocse (ottobre 2008, «Growing Unequal», si sono in parte ridotti con l’aumento di tassazione sulle famiglie e le maggiori prestazioni sociali per le persone povere. Stando all’Ocse vi sono stati progressi quanto al tasso di povertà, «disceso tra la metà degli anni Novanta e il 2005».
Resta comunque il fatto che «il reddito medio del 10% degli italiani più poveri è di circa 5.000 dollari (tenuto conto della parità del potere d’acquisto)», quindi ben al di sotto della media Ocse che è di 7.000 dollari. «Il reddito medio del 10% più ricco è di circa 55.000 dollari, sopra la media Ocse». In altre parole, mantenendo il confronto in Italia, il decile dei più ricchi ha circa 11 volte di più di quello dei più poveri. Sono disparità sociali che anche per il prudentissimo Ocse determinano immobilità sociale. Se uno nasce ricco, ricco rimane. Se invece sceglie una carta sbagliata e nasce povero, lì arriva e lì si ferma. «Figli di famiglie povere hanno una più bassa probabilità di diventare ricchi rispetto ai figli di famiglie ricche». Che il famoso La Palisse abbia tenuto una lezione di aggiornamento all’Ocse?
Anche la ricchezza è distribuita in un modo che potrebbe essere vivamente apprezzato dalla Confindustria, sempre alla ricerca della perfezione: il decile più ricco dispone del 42% della ricchezza nazionale(valore netto totale). La Banca d’Italia registra dati simili. In più avverte che metà della cittadinanza, i meno abbienti, dispone del 10% della ricchezza totale. Non verrebbe voglia di mischiare un po’ le parti, di ridistribuire le carte, tanto per vedere se dopo la partita non sia più divertente, non riesca meglio: meglio per tutti?
Uno dei lasciti di Vincenzo Visco viceministro delle Finanze di Romano Prodi, è stato il tabulato di tutti i contribuenti italiani, messo a disposizione di tutti gli stessi italiani. La pubblicazione viene subito proibita, sembra che l’onore nazionale sia in gioco, oppure che i segreti più gelosi siano esposti al pubblico ludibrio. Un giornale, Italia Oggi, va avanti imperterrito e pubblica nel corso di una settimana di maggio, in inserti speciali, i nomi e i soldi dei diecimila più ricchi, stando alla dichiarazione dei redditi del 2006, relativa alle entrate del 2005. Ne esce un quadro confortante. Il numero uno ha guadagnato, occasionalmente, 100 e passa milioni. Tra i guadagni registrati non ci sono dividendi e interessi su titoli di società, perché le imposte relative si pagano a parte, su base fissa. Non c’è l’evasione, i conti esteri e tutto il resto della ricchezza. Meglio: ci sono ma non registrati nelle tabelle di Visco. C’è però quanto basta per farsi un’idea. Ci sono i redditi da lavoro, dipendente e autonomo e quelli da impresa, principalmente; poi i redditi da fabbricati. Ci sono, nella rete, decine di calciatori, attori, allenatori, veline, presentatori, giornalisti principi, gente della politica. Grandi medici, grandi avvocati. Il più povero dei ricchi, decimillesimo, ha un reddito lordo, nel 2005, di 445 mila euro. Un noto sportivo, al 21° posto è l’ultimo sopra i 10 milioni, mentre bisogna scendere al 1877° posto per arrivare all’ultimo che ha guadagnato nell’anno un milione. Un milione che sembra uno scherzo, ma sono due miliardi di lire di sette o otto anni fa. Se quel posa piano di Franceschini osserva: i soldi li si trova, là dove ci sono, non ha tutti i torti.
di TaiemLaTestaAiSiur