Una storia di protagonismo e coscienza di classe di un gruppo di lavoratori combattivi. E anche un’esperienza di unità di militanti politici, sindacali e associativi che andrà certamente ripetuta. A partire dal coordinamento delle aziende in crisi.
I lavoratori della INNSE hanno vinto. Dopo 14 mesi di lotta, tre mesi di autogestione, tre sgomberi, l’ultimo il 2 agosto scorso, un presidio permanente prima dentro la fabbrica – o quello che ne rimane – poi all’esterno, fino alla iniziativa clamorosa della “occupazione” del carroponte alto 12 metri all’interno del capannone con i macchinari svenduti da padron Genta.
Un gruppo di lavoratori coraggiosi e testardi e una Rsu decisa e combattiva hanno piegato ,insieme all’ottusità e alla violenza di un padrone rottamatore, il silenzio complice – fino all’ultimo minuto possibile – delle istituzioni locali e la complicità effettiva – con il padrone – della destra leghista lombarda, quella di Castelli, Lunardi e Maroni.
Una storia di protagonismo e coscienza di classe di un gruppo di lavoratori combattivi. E anche un’esperienza di unità di militanti politici, sindacali e associativi che andrà certamente ripetuta. A partire dal coordinamento delle aziende in crisi.
I lavoratori della INNSE hanno vinto. Dopo 14 mesi di lotta, tre mesi di autogestione, tre sgomberi, l’ultimo il 2 agosto scorso, un presidio permanente prima dentro la fabbrica – o quello che ne rimane – poi all’esterno, fino alla iniziativa clamorosa della “occupazione” del carroponte alto 12 metri all’interno del capannone con i macchinari svenduti da padron Genta.
L’accordo raggiunto nella notte tra l’11 e il 12 agosto stabilisce da una parte l’acquisizione dell’area dove è ancora insediato il sito produttivo da parte di Camozzi, grande industriale bergamasco che produce macchine utensili e che ha recentemente allargato le proprie attività negli Stati Uniti; e dall’altra un accordo sindacale che garantisce la riassunzione di tutti i 49 lavoratori da parte del nuovo proprietario, un piano industriale che prevede possibilità di sviluppo occupazionale – come avevano sempre sostenuto i lavoratori dell’INNSE – la riapertura dello stabilimento il primo di ottobre,un periodo di cassa integrazione straordinaria nella fase di verifica del piano industriale e di riattivazione della produzione, l’accesso alla pensione per alcuni lavoratori in mobilità che hanno i requisiti necessari soltanto su base volontaria.
Gli ultimi scogli prima della conclusione sono stati la “monetizzazione” crescente da parte di padron Genta, poi risoltasi di fronte ad un ultimatum di Camozzi, sostenuto da un prefetto irritato di fronte all’atteggiamento da “rialzista” al tavolo di trattativa da parte del “rottamatore” leghista; e un rischio di utilizzo da parte di Camozzi – il cui consulente aziendale al tavolo era un certo Maurizio Zipponi… – del passaggio dalla mobilità alla pensione per alcuni lavoratori tra i più combattivi dell’ INNSE non su base volontaria e come modalità per effettuare una “scrematura”al momento dell’acquisizione nel gruppo di operai che ha resistito per 14 mesi .
Ma i lavoratori della INNSE a partire dai cinque “gruisti” hanno definito con chiarezza, nel momento cruciale,incontrando la delegazione Fiom che stava seduta al tavolo in Prefettura, quali erano le loro proposte e le loro condizioni per siglare un accordo positivo e scendere così dal carroponte. La lotta della INNSE al di là del numero di operai coinvolti e delle dimensioni di quell’azienda,un “residuo” di quella che era in altri tempi la Innocenti Sant’Eustachio di Milano, ha avuto nell’ultima fase un impatto molto forte su una città stordita dal caldo di agosto e dall’opprimente egemonia leghista berlusconiana, aggravata da una sinistra socialmente sradicata e priva di una qualunque capacità di iniziativa e di risposta significativa.
Un impatto tanto più importante in una realtà, quella di Milano e provincia letteralmente devastata nell’ultimo anno da una ondata di Cassa Integrazione con pochi precedenti e con moltissime aziende che stanno chiudendo e stanno licenziando – e per questo sono presidiate dai lavoratori: la LARES, la Metalli Preziosi,l’Ercole Marelli, la Nokia Siemens e tante altre.
Lo sgombero del 2 agosto,improvviso e brutale è stato come una scossa su un pezzo di sinistra che ancora abita in questa città intorpidita dall’egoismo sociale dominante.
Il presidio che già era presente all’INNSE ha visto affluire dal mattino prima decine, poi alcune centinaia di giovani, di militanti sindacali e delegati – della Fiom prevalentemente, ma anche di sindacati di base-militanti della sinistra e dei Centri sociali,studenti… Il presidio è diventato una Assemblea aperta e permanente che discuteva della lotta in corso e di tante altre cose… Il presidio era assolutamente unitario, si beveva,si mangiava, e si discuteva e litigava… ma quando c’era da fronteggiare la polizia e i carabinieri che militarizzavano tutta la zona la risposta era di tutti e tutti insieme. Alla INNSE- non so se era giusto o sbagliato,ma era così – non c’erano banchetti di partito con le loro bandiere, ma bandiere sindacali della Fiom, striscioni di Rsu, di centri sociali e tante bandiere della Rsu INNSE.
Le decisioni erano prese dagli operai dell’INNSE insieme alla delegazione Fiom e poi trasmesse all’intero Presidio. L’iniziativa di entrare nella notte del 4 agosto per occupare il carroponte e drammatizzare la vicenda, seguita dallo sciopero di due ore proclamato sul piano provinciale dalla Fiom, ha rilanciato ulteriormente la mobilitazione intorno alla INNSE e ha conquistato a quella lotta una visibilità nazionale importante. Il presidio diventava notte e giorno un appuntamento per centinaia di persone, un momento di solidarietà e partecipazione alla vicenda di un gruppo di operai dignitosi e combattivi che era vissuta come un’occasione per dire “basta”, dobbiamo tornare a lottare e a vincere. Il presidio diventava anche un momento di socialità in un pezzo di città desertificata dalla deindustrializzazione; dal Presidio si partiva per compiere piccole azioni di disturbo del traffico, di mobilitazione davanti alla Prefettura o davanti alla stazione ferroviaria di Lambrate. La solidarietà nei confronti di quegli operai testardi, che non si volevano rassegnare a scomparire, era visibile in quella zona, in centro e in tanti luoghi di lavoro dove si tornava a guardare con una certa attenzione ad una esperienza di lotta che forse poteva vincere e forse poteva dire qualcosa a tanti di più.
E quella lotta ha vinto; la sera dell’11 agosto via Rubattino, cimitero industriale, periferia squallida, polverosa e degradata, ha visto una festa popolare con fumogeni, mortaretti e cori da stadio che hanno salutato i “cinque gruisti” nel momento della loro uscita dall’azienda. Quella sera uno striscione è stato preparato e fa bella mostra di se’ davanti alla fabbrica, dice: “Hic sunt leones”.
Non è solo la retorica di chi ha vinto dopo anni di legnate sulle spalle.
E’ un modo “popolare” e magari un po’ enfatico di sottolineare uno degli ingredienti di questa esperienza di lotta: la combattività e la tenacia, insieme alla lucidità e alla capacità di iniziativa di un piccolo gruppo di operai e delegati sindacali Fiom, con una loro forte radicalità e una altrettanto – magari discutibile…- loro “politicità”.
Questo per dire che quegli operai hanno vinto perché esprimevano una loro soggettività di classe che gli ha permesso di resistere per 14 mesi, quasi da soli, con il sostegno di gruppi di amici e di giovani solidali con la loro lotta. Da questo punto di vista il ruolo della Fiom, a cui sono iscritti e il cui sostegno hanno sempre rivendicato, c’è stato ma è arrivato tardi, ha fatto un salto importante sull’onda della drammatizzazione determinata dall’ultimo sgombero e di una consapevolezza che nel gruppo dirigente locale e, credo, nazionale della Fiom si è a quel punto fatta strada: alla INNSE non si poteva perdere. Perché era concretamente possibile vincere la partita con il padrone e perché vincere lì, con la contraddittorietà di un accordo il cui percorso di applicazione non sarà indolore – perché padron Camozzi non è un benefattore – ma che comunque mantiene occupazione e attività produttiva, voleva dire poter ripartire a settembre, nel conflitto sociale che si produrrà, con uno stato d’animo diverso.
La INNSE ci dice anche alcune altre cose, che riassumo qui brevemente, ma che meriterebbero qualche minuto di riflessione.
Ci dice di un capitalismo milanese proiettato sulla speculazione sulle aree urbane di quella “città metropolitana” in vista dell’Expo 2015 e che,per fare profitti – forse – con il mattone sceglie di sacrificare una “nicchia produttiva” ancora importante per i propri assetti in questo territorio come quella delle macchine utensili.
Ci dice di una lotta che vince proprio perché radicale nelle sue forme di iniziativa e chiarissima nei suoi obiettivi.
Ci dice di operai che sono arrivati ad occupare una fabbrica e per tre mesi – prima dello sgombero iniziale – l’hanno fatta funzionare in autogestione, hanno trovato ordinativi e hanno gestito fornitori. Vuoi vedere che forse gli operai possono lavorare e produrre SENZA PADRONE?
Ci dice di giovani militanti con le loro “strane“ aggregazioni e abitudini che hanno fatto picchetti all’alba e hanno riscoperto che si può lottare per difendere una fabbrica. Vuoi vedere che “l’unità operai-studenti-tutti gli altri che volete voi” è ancora praticabile?
Ci dice di una lotta che ha scoperto strade per affermare i propri obiettivi che sembravano dimenticate: per esempio rivendicando la possibilita’ per gli Enti locali di REQUISIRE un’area e intervenire sulla sua destinazione d’uso…
La lotta dell’INNSE ci dice anche come potrebbe essere affrontato l’autunno che arriva: con il coordinamento delle aziende in crisi, per definire una piattaforma comune, degli obiettivi e delle modalità di azione condivisa. Ci dice del legame, nella crisi, tra difesa del posto di lavoro e necessità di intervenire sugli assetti proprietari con proposte di riorganizzazione della produzione in funzione delle esigenze operaie e non del profitto aziendale.
Ci dice quindi del valore dell’unità d’azione tra militanti sindacali, politici e associativi senza “retropensieri” e settarismi,ciascuno con la propria appartenenza valorizzare ma disponibili a mettere al centro delle proprie preoccupazioni, in quel momento, le ragioni di quella lotta. E ci parla del valore delle assemblee generali in cui si discute e si decide. Perchè in fondo quel Presidio a questo assomigliava, ad una istanza di democrazia partecipativa in cui erano loro,gli operai coinvolti, e non altri, a decidere…
Vuoi vedere che si potrebbe fare anche da qualche altra parte?
Roberto Firenze – Sinistra Critica Milano
un testimone di una vicenda importante, quella che in altri anni si sarebbe chiamata “una storia operaia”.