L’analisi. La politica sembra essersi dimenticata di sette milioni di
operai. E’ uno dei tristi successi della società italiana degli ultimi decenni
La classe invisibile alla ricerca di una voce
di LUCIANO GALLINO
Le immagini degli operai che salgono su ciminiere alte 170 metri per
restarci intere giornate, o su una gru, oppure occupano una fabbrica che ha
annunciato il loro licenziamento, sono scorci di una realtà ignota ai più,
frammenti che si intravvedono per un istante attraverso una finestra che
viene subito richiusa. Sono immagini d’una condizione di vita e di lavoro
che sebbene coinvolga ancor oggi milioni di persone è virtualmente ignota a
tutto il resto della società. Scatti fotografici d’una classe sociale che
resta altrimenti invisibile.
Aver reso socialmente invisibile il lavoro degli operai come insieme, come
classe sociale, è uno dei tristi successi della società italiana degli
ultimi decenni. Al presente, per gli uomini politici, compresi molti di
sinistra, parlare degli operai come classe sembra un frusto ritornello, un
indugiare su un passato irrecuperabile.
Perfino a molti sindacalisti non sembra un argomento su cui insistere;
temono, a volte con ragione, di non essere più votati. Da parte loro le
scienze economiche e sociali si sono impegnate soprattutto a scrutare
l’avvento del post-industriale, o meglio della società della conoscenza,
quel luogo radioso dove più nessuno si sporca le mani nè si rompe la
schiena dalla fatica perché tutte le merci sono prodotte dalle macchine.
Oppure da qualcuno in Cina o in India che anche se guadagna quattro euro al
giorno e lavora settanta ore la settimana deve dir grazie, perché prima –
ci assicurano – stava peggio. Pure ai narratori ed ai registi la classe che
doveva andare in paradiso da tempo non interessa più. Rende maggiormente,
anche sotto il rispettabile profilo della fama, occuparsi di crisi: non di
quella economica, bensì degli adolescenti, dei quarantenni, delle famiglie
di città o degli amori di provincia.
Di operai parla abbastanza spesso la TV. Quasi ogni giorno ci informa che
qualcuno è morto cadendo dal tetto o calandosi in una cisterna o venendo
travolto da un carrello mentre lavorava sui binari. Un po’ più di rado ci
informa che tot persone sono decedute perché hanno respirato amianto o
altre sostanze nocive per decenni. Ma parla di questi come fossero
sgradevoli eventi individuali, anziché elementi costitutivi della vita di
tutti coloro che fanno parte, lo gradiscano o no, di una comunità di
destino – che è il significato antico e perenne di classe sociale.
Eppure gli operai sono ancora tanti. Più o meno sette milioni, circa la
metà nel settore manifatturiero e gli altri sparsi tra trasporti,
costruzioni, industrie della conservazione, agricoltura e servizi vari.
Nemmeno in un supermercato, quintessenza del terziario, i prodotti si
collocano da sé negli scaffali, né le camere si rifanno da sole in un
hotel. Quel che accomuna questa massa di persone, legandole materialmente a
un destino collettivo, sono una serie di situazioni che basterebbero a
riempire l’agenda politica di qualsiasi forza riuscisse ancora a vederle.
In termini reali, le loro retribuzioni sono quasi ferme da oltre dieci
anni, ovvero sono aumentate in misura minima rispetto agli altri paesi
della Ue a 15. In rapporto al Pil, hanno perso in vent’anni tra 8 e 10
punti percentuali rispetto alle rendite e altri redditi da capitale. Si
tratta di decine di miliardi di euro l’anno che sono andati ad altre classi
sociali. A forza di riforme del sistema previdenziale fondate, più che sui
bilanci effettivi dell’Inps o sull’andamento reale del rapporto tra attivi
e inattivi, sull’accusa di ostinarsi a vivere più a lungo, vanno incontro a
pensioni da poveri. Non bastasse, adesso la crisi ha posto questa massa di
persone, grazie anche alle riforme più che decennali del mercato del
lavoro, dinanzi a un aspro scenario: molti lavoratori che contavano su
un’occupazione stabile l’hanno persa o stanno per perderla. Molti
disoccupati non troveranno lavoro per anni. Una quota rilevante di essi non
lo troverà mai più.
Le immagini degli operai che protestano, in forme nuove o tradizionali che
siano, se uno guarda bene, hanno nello sfondo queste situazioni. Comuni a
tutti loro. Se un politico vi dice che le classi sociali non esistono più,
suggeritegli cortesemente di cambiare mestiere.