“Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava…non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”.
Benito Mussolini, 1920
Queste le parole del capo del fascismo che diedero il via all’italianizzazione forzata nel territorio istriano. Già nei primi anni ‘20 gli squadristi avevano mano libera( e solidi appoggi politico-mediatici-repressivi) nelle loro incursioni violente ai danni della popolazione slava; partì poi nel ‘22 la campagna di italianizzazione vera e propria: divieto di parlare in sloveno, chiusura di scuole “non italianizzate”, devastazioni di sedi associative modifiche radicali alla toponomastica e anche i ai nomi/cognomi delle persone.Di quell’epoca ci rimane inoltre una filastrocca in voga tra gli squadristi come testimonianza delle loro “attività ricreative” (testo dialettale e traduzione italiana a fronte) che diceva: A Pola xe l’Arena / la Foiba xe a Pisin : / che i buta zo in quel fondo / chi ga certo morbin . (A Pola c’è l’Arena, / a Pisino c’è la Foiba : / in quell’abisso vien gettato / chi ha certi pruriti). L’azione del governo fascista, volte a difendere la “razza italica” ( quindi molto prima delle infami leggi razziali) annullò l’autonomia culturale e linguistica delle popolazioni slave ed esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell’Italia.
Una situazione destinata a peggiorare con la brutale occupazione del ’41: insieme ai nazisti, l’Italia fascista occupò Dalmazia, Slovenia e Croazia, imponendo a quest’ultima la crudele dittatura degli Ustascia del nazionalista Ante Pavelic. Seguirono stupri, massacri, bombardamenti e deportazioni di massa specialmente a danno di serbi e altre minoranze; deportazioni di cui gli italiani furono parte attiva con la creazione dei campi di concentramento della Risiera di S. Sabba, a Trieste o di Gonars a Udine. Alla fine della guerra la Jugoslavia conterà circa un milione di vittime di cui 300.000 direttamente attribuibili alle truppe d’occupazione italiane.
Dopo l’8 settembre ’43 e fino al ’45 con le sorti della guerra rovesciate(ma con un aumento della crudeltà delle SS e dei Repubblichini) e con il fascismo in rotta, le popolazioni slave oppresse dalla dittatura e dall’occupazione militare ebbero modo, in un coacervo di motivazioni etniche, nazionali e ideologiche di fare vendetta. L’esercito popolare della nascente jugoslavia e bande di “irregolari” intensificarono la lotta contro i simboli della dittatura: contro gerarchi del fascismo, camicie nere e talvolta semplici civili vi furono centinaia di fucilazioni e una serie di infoibamenti il cui numero, a fini propagandistici, aumenta di anno in anno nei fogli di calcolo della destra più o meno neofascista.
Altro capitolo è quello dell’occupazione titina di Trieste e della Venezia Giulia. Dopo il crollo della Germania nazista (che si era annessa tutto il Nord-Est italiano strappandolo all’alleato fantoccio della Repubblica di Salò), le formazioni jugoslave si proiettarono, infatti, verso le coste adriatiche. Durante i quaranta giorni di occupazione militare si scatenò una violenta epurazione degli italiani(che all’epoca era sinonimo di fascisti). Il numero delle vittime di questo periodo di occupazione slava, come hanno potuto accertare diverse ricerche, fu di circa quattro-cinquemila: cifra che comprende gli ‘infoibati’. Quanto a questi ultimi, il numero dei corpi estratti dalle caverne è inferiore ai mille. Dopo la fine del conflitto bellico, nessun italiano criminale di guerra è stato processato.
Parliamo di realtà storica, ampiamente testimoniata e documentata anche se indigeribile per alcuni che vorrebbero ridurre il fenomeno delle foibe all’”odio slavocomunista contro chi aveva la colpa di essere italiano”; gli italiani che, a dispetto della storia, sono sempre brava gente. Dunque, chiunque decida di prendere in considerazione la questione delle foibe deve tener conto di questo contesto: e non per negarle o per ridurne l’importanza, ma per comprenderle. È giusto che si sappia cosa sono state le foibe, il prima, il dopo e soprattutto cosa non sono state.
Contro un ricordo “smemorato”, noi ricordiamo tutto: abbiamo una buona memoria.