Per troppo tempo si è mantenuta una concezione di antifascismo legata quello che è stato il “fascismo storico” del ventennio e della guerra. La cristallizzazione di queste teorie ha fornito lenti non più adatte a leggere la società per come si è evoluta, facendo diventare “vecchia” e “obsoleta” la stessa nozione di antifascismo e Resistenza. Nel recente passato, questo errore che spinge a rifarsi più alla “memoria celebrativa” che ad una pratica quotidiana, ha portato a non comprendere, nei meccanismi politici e sociali, i movimenti neofascisti degli anni ’60-70; con la stessa difficoltà oggi spesso si fatica a decifrare il neofascismo degli ultimi 10-15 anni (protagonisti Forza Nuova e Casa Pound su tutti), il suo ruolo nei confronti dei grossi partiti del centro-destra e all’interno delle dinamiche sociali.
Si può ancora commemorare la liberazione dal nazifascismo ma ancora non si riesce, aldilà delle caricature ducesche di Berlusconi, a cogliere la pericolosità del nuovo ordine politico. Non c’è una “marcia su Roma” né “il voto al listone” ma è indubbia la progressiva svolta autoritaria dello stato. Oggi assistiamo ad un’inquietante diffusione di politiche reazionarie nel paese e in Europa, che stanno restringendo libertà individuali e collettive. Decreti ministeriali e carte dei sindaci (vedi quella di Parma) danno maggiori poteri alle polizie e si accompagnano alla proliferazione di “squadre dell’ordine”; è sempre più forte e concentrico l’attacco alle libertà sindacali, sessuali, ai diritti del lavoro e, non da ultimo, alla libera circolazione delle persone. Sono questi gli effetti di una crisi che crea tensioni e ansie nella società che la destra è in grado di canalizzare con un’abile “strategìa della paura”, grazie anche al ruolo di una sinistra che troppe volte ne ha assecondato le direttrici.
Viene spontaneo domandarsi, di fronte al dilagare di leggi razziste e di incessanti attacchi e revisioni costituzionali, se i principi di uguaglianza e solidarietà sanciti dalla costituzione ottenuta con la Liberazione dal nazifascismo nel 1945 non siano oggi stravolti e rimessi in discussione dall’emergere di una nuova destra e di un blocco culturale profondamente conservatore.
La recente polemica sulla presunta “sparizione” della resistenza dei programmi ministeriali offre anche lo spunto per una breve riflessione sull’indebolimento dell’antifascismo. Durante il dopoguerra la memoria della Resistenza e della Liberazione erano patrimonio comune di tutto l’arco parlamentare nonchè spinta propulsiva per le forze progressiste e di classe. Oggi invece quel briciolo che rimane di cultura antifascista è semplicemente la “libertà ritrovata”, slegata da qualsiasi concetto di rivendicazione sociale. Le forze di centro-sinistra talvolta sembra quasi facciano a gara per ‘smarcarsi’ dalla Resistenza e, senza la minima serietà o contestualizzazione storica, continuano a scivolare sul terreno revisionista utile a dare nuova verginità politica ai ‘nipotini di Salò’.
Aldilà delle pochezze della classe politica c’è un disegno molto più ampio volto alla rimozione di un’identità comune: l’identità dei valori della Resistenza e della Costituzione nata da essa. Ed ecco allora che in un immaginario collettivo finalmente ‘pacificato’ si tende a sfumare fino a cancellare l’immagine storica reale di operai armati che difendono le proprie fabbriche, di studenti rifugiati in montagna ad organizzare la Resistenza o delle donne che, protagoniste attive nella lotta partigiana, rifiutano le imposizioni culturali che il fascismo ha riservato alla loro figura: tutti e tutte accomunati da ideali di libertà e uguaglianza sociale.Non è un caso che oggi stia crescendo di popolarità una pericolosa caricatura che illustra i partigiani come assassini, torturatori, nemici della “libertà”.
Nella stessa ottica ma declinata su Mantova, chi ricorda con oggi con forza le cooperative e le camere del lavoro devastate e bruciate dagli squadristi? Le intimidazioni, i pestaggi e gli omicidi delle camicie nere tollerati e lasciati impuniti dalla società e dalle sue istituzioni? chi ricorda che a Mantova ci fu un campo di smistamento per deportati presso il Gradaro o dell’uccisione di Giuseppina Rippa? Ogni anno si commemora invece “l’eroe antinapoleonico e patriottico Andreas Hofer”. Non deve essere un caso se quest’anno un “ospite” era proprio quel Mario Borghezio della Lega nord nonché ex di Ordine nuovo.
Fatte queste considerazioni la scomparsa della Resistenza antifascista dai libri di storia è solo il manifestarsi di una malattia contratta da tempo e mai curata.
Spazio Sociale “La Boje!”