Sabato pomeriggio la MayDay ha riempito, come avviene da 10 anni, le strade di Milano con i colori e gli slogan dei differenti mondi del lavoro (precario e in via di precarizzazione) e del non-lavoro. E il giorno dopo ancora in piazza una parte della Milano che “non tollera il fascismo”
La MayDay è una bestia strana. Guardandola con occhi disattenti o antipatizzanti la si continua a dipingere come un raduno di giovani spoliticizzati, disinteressati a qualsiasi contenuto e raccolti in piazza solo per la musica, il vino o la birra. Un’immagine infastidita che viene proposta sia da coloro che vogliono buttare palate di fango sulla “sinistra” (come il solito vicesindaco DeCorato) sia da alcuni gruppi “duri e puri” della stessa sinistra che la ritengono poco militante e poco politica.
Ma la MayDay continua a portare in piazza decine di migliaia di persone, soprattutto giovani, e tra i suoi carri e la sua musica si affacciano tutti i colori e i contenuti dei differenti mondi del lavoro (precario e in via di precarizzazione) e del non lavoro. Una manifestazione con tantissime/i giovani, ma anche con tante donne e uomini con qualche anno in più e con un’esperienza differente di rapporto con il lavoro (e anche con la pensione…). Uno spazio che questa volta ha scelto anche una forte caratterizzazione di genere (www.rigeneriamo.net [2]) e contro l’omofobia, il machismo e la violenza – contenuto forte che è stato fatto vivere con spot comuni trasmessi periodicamente da ogni carro (e accettato anche dai carri non politici delle varie “tribe” presenti alla parata).
Quest’anno il lungo serpentone era aperto dal carro di “Uniti contro la crisi”, rete di lavoratrici e lavoratori delle fabbriche in lotta (dalla Maflow, alla Marcegaglia, alla Lares e così via) scelta dagli organizzatori della parata come simbolo di una possibile relazione tra la difesa del lavoro e la richiesta di reddito e di un nuovo “Welfare for life” (come recita l’ironico nome dell’iniziativa del San Precario milanese, http://welfare.sanprecario.info/ [3]). Dietro i centri sociali e le reti studentesche, le organizzazioni sindacali di base, il Comitato NoExpo2015 con la sua mappa delle speculazioni metropolitane e delle lotte per la difesa territoriale, le forze politiche della sinistra già radicale. E tra i carri anche la barca della “Zona Risk”, spazio comune anticapitalistico formato da diversi collettivi sociali (femministe, soggetti lgbt, studenti autoconvocati) e da Sinistra Critica: una barca come quella nella quale ci dicono che siamo tutte/i, ma dove qualcuna/o continua a remare mentre altri pensano solo a comandare. La barca riconquistata dalle/dagli ammutinate/i che hanno continuato a ripetere che “le nostre vite valgono più dei loro profitti”.
La MayDay 2010 è stata ancora una volta lo spazio per mostrare quelle “vite”, la loro realtà precaria, i loro desideri, le loro lotte. Questa è la sua ricchezza e il suo limite: non ancora rete di una lotta comune e di una vertenza condivisa, ma “messa in scena” dei soggetti che di quella lotta e di quella vertenza devono necessariamente essere protagoniste/i. Vertenza e lotta che non può prescindere da loro.
Una bella giornata, insomma, che ha persino impedito piovesse e che ci riconsegna la riflessione su come costruire quella vertenza comune anticapitalista – declinata nelle tante vertenze sociali e territoriali – e su come far vivere le idee e proposte anche nei 365 giorni che separano una Mayday dall’altra.
Domenica 2 maggio, in una giornata più grigia, dal punto di vista meteorologico, è stata invece la Milano antifascista e antirazzista a sfilare, nel quartiere multietnico e popolare di SanSiro, contro l’iniziativa dei diversi gruppi della destra neofascista (torneo di calcetto e concerto degli “Amici del vento”): un’iniziativa propagandata come commemorazione e ricordo di Sergio Ramelli, in realtà parte della settimana di provocazioni contro il 25 aprile e sperimentazione di una nuova saldatura dei diversi soggetti della destra. che questa volta non si sono limitate a Forza Nuova, Casa Pound, Hammerskin e così via, ma hanno ottenuto il sostegno diretto di diversi esponenti della destra nel Pdl (personaggi come l’onorevole Frassinetti, il consigliere regionale Romano LaRussa, consiglieri provinciali e comunali come Capotasti, Fidanza ecc.) e il patrocinio delle istituzioni governate dal centrodestra (la Provincia di Podestà e il Comune della Moratti, attraverso il Consiglio di circoscrizione 3 e la società Milano Sport (società per azioni 100% comunale) che ha ospitato l’evento domenicale. Dopo il consueto corteo del 29 aprile (che ricordava Ramelli e Pedenovi, ma anche il repubblichino Carlo Borsani) che ha visto circa 700/800 camerati arrivati a Milano da diverse parti del paese – con il solito corredo di croci celtiche e saluti romani – l’iniziativa del 2 maggio ha raccolto un centinaio di fascisti e nazisti (anche questa volta con le bandiere con le croci celtiche).
A poche centinaia di metri, divisi da una schieramento di polizia impressionante ma per fortuna tranquillo, circa 1500 compagne/i manifestavano la loro “intolleranza per il fascismo”, con un corteo che ha attraversato il quartiere di S.Siro. una manifestazione “militante”, nel senso che ha visto la partecipazione di quasi tutti i centri sociali e le realtà antagoniste (a parte il Leoncavallo, ormai trasformato in “fabbrica di Nichi”, capace di portare alla Mayday migliaia di watt, ma assente nelle dinamiche dell’assemblea antifascista) e delle sole Federazione della sinistra e Sinistra Critica tra le forze politiche.
Mancava al corteo la Milano democratica e antifascista che riempie le strade della città il 25 aprile, tenuta a casa da diversi motivi: sicuramente da un difetto di comunicazione da parte dell’antifascismo più radicale – e dalla continua modifica del luogo dell’appuntamento a causa dei cambiamenti delle iniziative neofasciste; dalle polemiche sulle contestazioni del 25 aprile; dai timori di una possibile contrapposizione “fisica” tra le due iniziative. ma anche dalla scelta delle organizzazioni sindacali e delle forze come l’Anpi (e, ovviamente del centrosinistra) di disertare questi appuntamenti, talvolta banalizzando le provocazioni neofasciste, non cogliendone la pericolosità e la relazione con il resto del centrodestra.
Il corteo è stato pacifico ma fermo e politicamente capace di mostrare la forza di un area antifascista radicale, che unisce alla mobilitazione contro le iniziative della destra quella delle lotte sociali e territoriali.
Unica nota stonata – marginale – ritornare a sentire slogan sulla augurabile “morte dei fascisti”: slogan inappropriati e per fortuna solo urlati – mentre quotidianamente ci tocca assistere alla crescita delle aggressioni fasciste, razziste e omofobe.
da: www.ilmegafonoquotidiano.it