Così si abroga l’articolo 1 della Costituzione
Di Giorgio Cremaschi(da Liberazione)
Pare il sogno di Silvio Berlusconi. Un referendum che in una volta sola cancelli tutte quelle parti della Costituzione, tutti quei pesi e contrappesi nelle istituzioni, che danno fastidio alla libertà dell’impresa e soprattutto a quella di alcuni imprenditori. Un referendum ove sia possibile solo il sì perché il no comporterebbe la minaccia di mettere in crisi tutto il bilancio dello Stato. Per ora in Italia questo incubo non è realizzabile. Nonostante tutto alcune regole e garanzie di fondo lo impediscono. Senza particolare scandalo, però è su questo che si vuole far votare i lavoratori di Pomigliano. Oramai è chiaro a tutti, anche a chi continua a far finta di non aver capito. Nello stabilimento Fiat campano non si discute più di produttività o di flessibilità. L’azienda vuole imporre un altro contratto nazionale, un’altra legge dello Stato, un’altra Costituzione. Nel nome del più antico dei ricatti: o rinunci ai tuoi diritti o non lavori.
Che una cosa di questo genere piaccia a chi pensa che la Costituzione repubblicana è un inutile orpello, è comprensibile. E’ comprensibile anche che con essa siano d’accordo quei sindacati complici, quella Confindustria che con la legge sull’arbitrato vogliono imporre ai lavoratori di rinunciare al diritto di andare dal giudice sin dal momento dell’assunzione. Così come ai lavoratori di Pomigliano si dice che rientreranno al lavoro solo se si spoglieranno di tutti i loro diritti. Tutto questo è comprensibile in chi ha fatto del potere dell’impresa il totem assoluto a cui sacrificare tutto.
Invece che il Partito democratico, la stampa che lotta contro i bavagli, l’opinione pubblica scandalizzata giustamente dall’attacco all’autonomia della Magistratura, che da questa parte non ci si accorga che a Pomigliano si sta aprendo un buco nero che può inghiottire parti rilevanti della nostra democrazia, tutto questo è francamente incomprensibile.
Siamo davvero già così oltre i nostri principi fondamentali? Si è già davvero totalmente restaurata l’ideologia ottocentesca secondo cui le libertà si fermano alle soglie dell’economia? Questo è proprio ciò che la nostra Costituzione nega alla radice: che si possa avere una democrazia dei cittadini che non sia anche una democrazia dei lavoratori e nell’economia.
La Fiom ha detto no. E’ un atto di coscienza e coraggio che dovrebbe far felici tutti coloro che pensano che bisogna difendere la nostra democrazia dal degrado berlusconiano e tremontiano. E invece si vedono balbettamenti, parole in libertà, appelli alle parti sociali. Quale vergognosa fiera dell’ipocrisia. E’ chiaro o no che la Fiat considera le leggi italiane una fastidiosa variabile nei suoi bilanci di multinazionale? E’ chiaro o no che se a Pomigliano passa la deroga a tutto, nel giro di sei mesi tutto il sistema industriale italiano farà la stessa cosa?
E’ proprio di questo, del resto, che parlano i commentatori quando dicono che la Fiom si oppone a nuove regole. Siamo in una drammatica crisi mondiale, che nasce dalla speculazione selvaggia e da vent’anni di liberismo senza regole. Eppure improvvisamente pare che tutte le analisi sulla crisi, tutti i proponimenti di superare il mercato selvaggio, di dire basta alla speculazione e sì a un economia più responsabile, vengano cancellati. Chi si preoccupa della salute fisica e psichica dei lavoratori di Pomigliano, costretti a ritmi e a condizioni di lavoro tra le peggiori d’Europa, senza la possibilità di discuterle e criticarle? Chi si preoccupa del taglio dei salari, dei diritti, di un trattamento di malattia che è frutto del contratto del 1969? Orpelli, antistoriche resistenze sindacali di fronte al dispiegarsi della libertà d’impresa?
Se non reagiamo ora con il massimo dell’indignazione, forse un giorno potremmo ricordarle davvero queste settimane. Come quelle dove in un solo stabilimento Fiat, con un referendum imposto a lavoratori che avevano puntata alla tempia la pistola del licenziamento, fu abolito l’articolo 1 della Costituzione repubblicana.
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Pomigliano e il ruolo della sinistra
di Salvatore Cannavò(da il megafonoquotidiano.it)
Marchionne fu definito l’esponente della “borghesia buona” e mai definizione fu così smentita. Il Pd non se la sente di mettersi contro la Fiat, il resto della sinistra sì ma ha un problema di credibilità. Sinistra Critica propone una «iniziativa unitaria» a partire dallo sciopero del 25 giugno. Attorno alla battaglia su Pomigliano può innescarsi una risposta efficace?
Come ricorda oggi in un’intervista al Fatto quotidiano, Cesare Damiano, già “riformista” della Fiom e poi ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi, la Fiat ha sempre fatto «scuola» nell’ambito delle relazioni industriali. «Nel 1971 l’accordo Fiat sull’organizzazione del lavoro – spiega Damiano – determinò le caratteristiche della prestazione del lavoro in tutte le grandi aziende d’Italia (…) così come nel 1988 l’accordo sul premio di risultato portò successivamente all’introduzione del salario variabile che nel protocollo del 1993 ispirò l’intera contrattazione di secondo livello». Damiano “dimentica” il 1980 e il licenziamento – poi cassa integrazione – di migliaia di operai a Torino che innescò la protesta dei 35 giorni conclusasi con una sconfitta. Quella non fu una vertenza squisitamente sindacale ma chiaramente politica, intenzionata a modificare, riuscendoci, i rapporti di forza nella società italiana.
L’accordo separato di Pomigliano si iscrive in questa genealogia negativa targata Fiat. Ha componenti chiaramente lavoriste, cioè interne alle condizioni di vita interne alla fabbrica – lo straordinario obbligtorio a 120 ore, la pausa ridotta di dieci minuti, l’introduzione del World Class Manufacturing, la pausa mensa a fine turno – ma ha anche una valenza generale, “politica”, che riguarda i complessivi rapporti di forza sociali. Le sanzioni al diritto di sciopero costituiscono il cuore di questa offensiva così come il rifiuto di pagare la malattia a carico dell’azienda in caso di assenze dal lavoro superiori alla media (ma a quale media la Fiat non l’ha ancora detto).
Un passaggio di fase che capitalizza un dato della politica che è sotto gli occhi di tutti: una sinistra scomparsa dal Parlamento e inefficace sul piano sociale, un Pd che si schiera direttamente con la Fiat salvo chiedere un po’ più di cortesia e un’Italia dei Valori – il soggetto politico nuovo di questa fase – che si schiera con i lavoratori ma che con la testa pensa a bavagli e intercettazioni più che alla lotta di classe.
Le prese di posizione sono le più disparate e le più diversificate tra loro. La più paradossale è quella di Fausto Bertinotti: «Dove è finita la sinistra dei post-it, di Repubblica, che protesta contro il bavaglio? A Pomigliano non la vedo» dice l’ex presidente della Camera in un’intervista al Riformista. L’intervistatore dimentica però di chiedergli conto dei vecchi giudizi su Marchionne, definito esponente di quella «borghesia buona» con cui la sinistra doveva allearsi al tempo del governo Prodi. Più lesto a porre la domanda è invece il Corriere e in questo caso Bertinotti ammette un ripensamento: «Anch’io, non lo nego, ho parlato bene di Marchionne ma se poi fa cose come queste, con la stessa libertà con cui ho detto che era un bravo manager ora dico che è un personaggio pessimo». Peccato che il giudizio positivo coincidesse con il momento di massimo prestigio e visibilità dell’ex segretario di Rifondazione e che quella scelta, allora, abbia contribuito alla perdita di credibilità della sinistra di classe. E questo è quello che oggi pesa come un macigno.
Il segretario del Prc, Paolo Ferrero, a Pomigliano ci è andato a volantinare e ovviamente i suoi giudizi sono in parte analoghi a quelli di Bertinotti: «Dov’è quel centro sinistra che giustamente si indigna per le nefandezze di Berlusconi? Dove sono i direttori dei quotidiani che giustamente protestano contro le leggi bavaglio? Dove sono i liberali che gridano al golpe quotidianamente? In silenzio». Giusto, ma nei suoi due anni di segretario, Ferrero ha offerto molto proprio a quelle posizioni e quando mai il Prc si è sganciato dalle coalizioni di centrosinistra con cui ha governato, ad esempio, proprio la regione Campania fino a tre mesi fa? E lo stesso vale per Vendola e Sinistra e Libertà. Le prese di posizioni esistono ma quello che si misura pesantemente in questa vicenda è la perdita di credibilità. E anche le formazioni minori, come Sinistra Critica o il Pcl, che non hanno certamente remore a stare dalla parte dei lavoratori e della Fiom e a proporre mobilitazioni unitarie, hanno comunque una voce flebile, frutto delle sconfitte e della dispersione di energia.
Chi si muove con più credibilità è ovviamente il partito di Di Pietro che annuncia: «Ci impegneremo a fianco degli operai perché nessun diritto venga prevaricato». Eppure, la percezione che l’Idv rimanda, nonostante gli sforzi del suo responsabile Lavoro, Maurizio Zipponi, già Fiom e già deputato del Prc, è di avere il baricentro politico da un’altra parte.
Nel Pd invece è un fiorire di dichiarazioni da collezione. Fassino, che aspira a fare il sindaco di Torino, dice di continuare a fare il tifo per Marchionne: «Sta passando l’ultimo treno per Pomigliano e il sindacato non deve sottrarsi alle proprie responsabilità». Nessuna esitazione nemmeno per l’attuale sindaco, Chiamparino che si augura un sì al referendum e un conseguente ripensamento della Fiom. Da un altra posizione muove invece l’ex segretario della Cgil, Sergio Cofferati, oggi parlamentare europeo, il quale invece sottolinea il pericolo che l’accordo violi non solo la Costituzione italiana ma anche i trattati europei a cominciare dal Trattato di Lisbona. In questa babele scomposta il segretario Bersani cerca di portare un po’ d’ordine affermando su Repubblica che l’unica posizione che conta è la sua. E la sua posizione è così mediata e sfumata che si fa fatica a capirla: «L’accordo va bene ma non deve diventare un modello» che è diventata la posizione del segretario Cisl, Bonanni. Però «l’azienda non dovrebbe umiliare gli operai e cancellare i diritti» che invece è la posizione di Epifani. Detto questo «la situazione in quello stabilimento è insostenibile, non può stare sul mercato con quei livelli di produzione» che è la posizione della Fiat. Manca forse solo la posizione del Pd ma questa non è una novità. Ma battute a parte, il Pd in questa vicenda non tocca palla, perché le questioni sociali sono ormai estranee alla sua traiettoria e cultura e si incarica di affrontarle solo dal governo; dall’opposizione non sa dire nulla perché non riuscirebbe mai a demarcarsi da una logica di impresa che ormai è la sua logica.
Resta però il fatto di una situazione difficile e che costituisce un nuovo colpo per lavoratori e lavoratrici. Che fa la sinistra? come si rende utile e come coglie il passaggio per provare a dare una risposta? Un’occasione è data dal 25 giugno, quando ci sarà lo sciopero di 8 ore proclamato dalla Fiom. Si potrebbero tenere manifestazioni in tutta Italia di solidarietà ai lavoratori Fiat in particolare a Pomigliano anche come reazione al referendum del 22 giugno. Sinistra Critica, per bocca dei suoi portavoce, Turigliatto e D’Angeli, avanzano la proposta di un incontro unitario a sinistra per «contribuire a un movimento forte unitario e dal basso contro l’accordo, a difesa dei diritti e della dignità del lavoro, per cercare di organizzare una riposta adeguata al “modello Pomigliano”».