(un contributo dall’interno del presidio di Brescia – Di Felice Mometti)
La gru è una piccola costellazione che si vede nei cieli del sud. Mentre nell’emisfero nord si fatica a vedere dalla Libia in su. Se ci fossero delle metafore che indicano un destino questa sarebbe la più appropriata per la condizione dei migranti di Brescia. Ma per fortuna non è così, almeno non sempre. La lotta dei migranti sulla gru è uscita dai confini di Brescia, è diventata un caso nazionale. Ci sono state decine di iniziative di sostegno in molte città, a Milano i migranti sono saliti sulla torre di via Imbonati, si è stabilita una comunanza di obiettivi con la mobilitazione del 13 novembre dei migranti dell’Emilia Romagna. Ne hanno parlato grandi network mondiali come la CNN e Al Jazeera, ci sono state manifestazioni di solidarietà a Parigi, Berlino e Valencia. Dopo 34 giorni di presidio permanente davanti agli uffici della Prefettura, distrutto due volte dalla polizia per volere dell’Amministrazione comunale e del Prefetto, quattro manifestazioni di cui quella del 6 novembre con 10 mila persone e due settimane di occupazione della gru i migranti hanno mostrato a tutti qual è problema di fondo della loro condizione sociale: le relazione stretta che esiste tra il razzismo istituzionale, la precarietà e lo sfruttamento sui luoghi di lavoro. Un insieme di vessazioni, discriminazioni, provvedimenti legislativi che sono funzionali alla completa flessibilità e precarietà di una forza-lavoro considerata perennemente temporanea e ospite. Ma siccome nulla è meno temporaneo e ospite dei migranti che vivono in questo paese si alzano le barriere, al percorso di riconoscimento di una nuova soggettività sociale e politica, segregando i migranti nel circuito infernale dell’ottenimento del permesso di soggiorno solo mediante un contratto di lavoro. La natura dello scontro in atto a Brescia sta tutta qua. La doppia truffa, dello Stato e degli imprenditori, con la sanatoria per colf e badanti del settembre 2009 è stata certamente perpetrata per estorcere migliaia di euro ai migranti che hanno presentato domanda ma tutti sapevano che era l’unico strumento per regolarizzarsi anche per i migranti che svolgevano altri tipi di lavoro. E nel momento in cui sono state presentate centinaia di migliaia di domande si sono cambiate le regole del gioco per riprodurre clandestinità e precarietà. La cosiddetta circolare Manganelli, emessa otto mesi dopo il varo della legge sulla sanatoria, con l’introduzione del “reato di clandestinità” come motivo ostativo all’ottenimento del permesso di soggiorno ha precluso la possibilità a decine di migliaia di migranti, perlopiù giovani da 4/5 anni in Italia, di regolarizzarsi. Sono in gran parte i migranti della crisi, della mobilità lavorativa e territoriale. Non è un caso che abbiano occupato la gru di un cantiere in cui non ci lavorano loro ma altri, installato nel quartiere di Brescia a più alta presenza di abitanti migranti. I migranti sulla gru hanno esposto uno striscione con scritto che la lotta è dura. Non è solo uno slogan, è la realtà dei fatti per essere andati al nocciolo delle questioni che riguardano l’intera condizione di migranti. E’ ciò che ha capito il Ministero dell’Interno , molto meno i politici che si limitano alle passerelle di rito sotto la gru e qualche “ antagonista” che riduce una difficile lotta sociale collettiva a una “guerra privata” con la polizia.
Guardando cosa c’è sotto la gru si vede un presidio che dura ininterrottamente da due settimane, giorno e notte, continuamente animato con iniziative spontanee da quella parte di città che si sta risvegliando dopo due anni di amministrazione di centro destra in teoria ma leghista nella realtà.
A Brescia si è aperta una finestra, uno spazio pubblico per agire e ricostruire rapporti politici e sociali nella precarietà e nella provvisorietà della situazione. Uno spazio che per non essere di nuovo richiuso ha bisogno di ampliarsi in altre città, luoghi di lavoro e di vita collettiva.
Felice Mometti