Si scrive “casette” ma si legge “distributori” dell’acqua.

Acqua privata[comunicato del Comitato acqua Mantova ]

Negli ultimi tempi, quello delle “case dell’acqua” risulta tra i temi più discussi. Lasciando ad altri gli approfondimenti di legalità, legittimità amministrativa e politica, vogliamo aggiungere una questione di opportunità, partendo dal significato che per noi ha il termine “pubblico” nella gestione della risorsa idrica.
È bene chiarire che quella erogata attraverso le casette-distributori non è acqua a gratis. Partiamo dai 600 milioni dell’appalto di cui tanto si discute, che l’ATO ha messo a disposizione dei Comuni: è certo che questi soldi provengono dalla tariffa che grava sui cittadini per la gestione del servizio idrico. Alcuni Sindaci hanno sottolineato che il costo non pesa sui bilanci comunali, ma sulle nostre tasche sì. Ai costi iniziali per le casette “chiavi in mano” dobbiamo aggiungere quelli degli allacciamenti, quelli energetici e di ordinaria e straordinaria manutenzione: l’acqua erogata, seppur già controllata perché proveniente dall’acquedotto, viene microfiltrata e trattata e messa a disposizione refrigerata.  Quanto costa tutto questo? I Comuni, per poter rientrare delle spese di gestione, potranno scegliere se mettere a disposizione l’acqua gratuitamente, ma questo significherebbe usare i soldi della fiscalità generale, oppure far pagare una cifra ai fruitori, che sarà comunque di gran lunga superiore al costo dell’acqua dell’acquedotto, da cui quella stessa proviene. Dov’è il vantaggio per i cittadini? Abbiamo letto che le case dell’acqua potrebbero portare ai Comuni un introito anche superiore ai 10.000 euro: possiamo affermare dunque che si punta a fare cassa su un bene comune di fondamentale importanza come l’acqua. Così concepita non ci sembra altro che una operazione ”Acquamarket”, una commercializzazione di quello che è un bene di tutti e che tutti hanno a disposizione nelle proprie case, una mera operazione commerciale avvolta da un’aura ecologista.

Non è questa la strada per fare cultura dell’acqua, per sensibilizzare la cittadinanza su un corretto uso di un bene sempre più importante, né il modo più opportuno per ridurre il consumo dell’acqua minerale o per far fronte alla questione, estremamente importante, delle “acque in bottiglia”. I Comuni potrebbero impegnarsi su altri percorsi, quali ad esempio la diffusione dell’acqua dell’acquedotto nelle mense scolastiche, nei locali pubblici, nelle feste di paese e, per gli amanti dell’acqua gasata, la promozione di apparecchi gasatori domestici. Stando poi agli investimenti nel sistema idrico integrato, sempre più esigui per le note ristrettezze economiche, sarebbe stato più opportuno mostrare maggiore attenzione alla questione arsenico; oppure alla procedura di infrazione mossa dall’Europa per non corretti sistemi di depurazione, che vede coinvolti parecchi Comuni della nostra provincia, per i quali rischiamo multe salatissime.
Per tutto questo e per molto altro, rivolgiamo ai nostri Comuni un accorato appello perché facciano maggiormente valere il proprio ruolo istituzionale pubblico, battendosi contro ogni forma di privatizzazione e mercificazione dell’acqua e assumendosi la responsabilità diretta della custodia e delle preservazione della risorsa idrica, in ogni suo aspetto.

COMITATO ACQUA MANTOVA