Per non annegare nella retorica patriottica che dilaga ovunque pensiamo sia necessario esprimere una voce “fuori dal coro”; per contribuire ad un dibattito che è mancato e tutt’ora manca, a sinistra, su questioni come “Patria”, “Unità d’Italia” e “Tricolore”.
Da circa vent’anni, da quando sono finite le ideologìe e l’Italia è successivamente entrata in guerra al fianco degli Stati Uniti in spregio alla costituzione, un vastissimo fronte di politici, intellettuali, sindacati, partiti e associazioni ha rispolverato la bandiera tricolore e in ogni occasione possibile ne rilancia l’attualità simbolica. Neo-ex-post-fascisti oggi al potere, invitano i cittadini ad esporre il tricolore in segno di lutto dopo gli eventi bellici rilanciando il mito dei “martiri” e dei “caduti”. A questo si accompagnano “Feste della Repubblica” con parate delle forze armate sui Fori Imperiali. Questa retorica inisidiosa che è basilare per la costruzione di un immaginario collettivo nazionalista ci regala stimoli di riflessione per ricordarci i nessi storici e politici tra bandiera nazionale e repressione dei movimenti sociali.
Il Tricolore
In queste giornate di neopatriottismo in cui il tricolore è ovunque e viene sventolato come un vessillo “di solidarietà e di unità”, dobbiamo consolidare il nostro punto di vista che vede invece, nel tricolore, un simbolo ed una mitologia reazionaria da sempre contraria ai movimenti sociali. Un filo nero che unisce storicamente le violenze di Bologna del 1920 in cui gli squadristi fascisti invitavano “gli italiani” a stringersi attorno al tricolore e all’ordine costituito contro i lavoratori socialisti, appena insediatisi in comune con il loro “straccio rosso”, ai neo-squadristi di Piazza Navona a Roma, che nel 2008 tentarono di spaccare la protesta studentesca contro la Gelmini armati di mazze tricolori. Prima, in mezzo e dopo a questi due esempi storici possiamo elencare svariati esempi in cui il tricolore sventolava alto: la guerra coloniale di Libia, la prima guerra mondiale e la carneficina di giovani contadini e operai mandati a morire per assicurare un futuro al re e alle classi dirigenti italiane; e poi ancora il tricolore del fascismo instauratosi grazie al beneplacito dello “stato”, la criminale guerra d’Etiopia, l’italianizzazione violenta e forzata dell’Istria, la seconda guerra mondiale. Senza dimenticare le operazioni per reprimere i movimenti sociali nel dopoguerra: dalle “stragi di stato” alle violenze dei gruppi neo-nazionalisti. Non da ultimo il tricolore come simbolo delle operazioni di guerra in medio-oriente a sostegno degli interessi economici legati a petrolio e gas chiamate “missioni di pace”.
Non è assolutamente un caso che negli episodi più alti della nostra storia, quando le masse popolari hanno lottato e rivendicato pace, lavoro e libertà, si sono radunate sotto uno straccio rosso che le rappresentava in quanto classe in contrapposizione a quella bandiera tricolore e quello Stato che erano ( e sono per natura) alleati degli speculatori, padroni e banchieri che le tenevano soggiogate.
L’unità d’Italia: problematiche rimosse
A sinistra si è smesso di studiare i giganti del pensiero e, di conseguenza, la teoria rimane ancora schiava di vecchie interpretazioni della storia; si pensa all’Unità d’Italia come al popolo che a un certo punto, cacciati gli austriaci, si abbraccia e crea uno stato: tutte le problematiche da quelle linguistiche a quella della disparità tra nord e sud fino alle rappresaglie e le violenze sui popoli sono state gettate via o lasciate alla manipolazione della peggiore propaganda leghista. Recuperando invece le riflessioni dei più grandi pensatori italiani si può dibattere più attentamente di Unità d’Italia. Tra gli altri possiamo fare riferimento ad Antonio Gramsci che vedeva il risorgimento come una “mancata rivoluzione” in cui le masse avevano avuto poca influenza e in cui le “èlite” nord si erano annesse, con forza brutale, le regioni del sud; Gaetano Salvemini, intellettuale socialista pugliese vedeva anche lui la necessità di uno stato unitario ma che quello che si era creato era una sottomissione del Sud nei confronti del Nord dove il divario non era colmabile: propose con forza un federalismo( da non confondere con pacchianate contemporanee) socialista per risolvere la questione meridionale. Giuseppe Garibaldi, poco tempo dopo l’avvenuta unificazione, si dimostrò rammaricato per gli esiti e, sebbene entusiasta degli ideali unitari, non avrebbe marciato di nuovo sul meridione viste il pessimo clima venutosi a creare.
Emerge storicamente la necessità di una unità politica, economica ed amministrativa ma attuata come, da chi e perché?
Queste problematiche non vengono discusse e vengono riprese e rovesciate in una falsa ottica “anti-sistema” solo dalla Lega Nord che, anche sulla base di queste, ha costruito un impero elettorale indipendentista.
Politica: neo-patriottismo vs. Padania
Questo interesse spasmodico del campo progressista per concetti patriottico-nazionalisti nasconde due errori di fondo: uno tattico e uno strategico. Tatticamente si pensa che ricollocarsi su posizioni unitario-tricolori darà slancio ad un progetto politico e che strategicamente questo modus operandi dovrebbe colpire soprattutto il muro ideologico padano.
L’errore tattico è quello di pensare di poter crescere abbracciando concetti scivolosi e di cui non si fa storicamente parte: abbandonate da anni le rivendicazioni, di matrice internazionalista, del mondo del lavoro, la maggior parte della sinistra italiana si abbandona all’esaltazione, spesso acritica, del tricolore dell’Unità d’Italia. Alle porte della terza repubblica sventolare un tricolore “partigiano” e legato semplicemente alla costituzione della prima, oltre a far capire che ci sono interessi politici “di bottega”, lascia il tempo che trova.
Anche se aumentano i malumori questo processo va però avanti nell’ottica della edificazione di una nuova “sinistra” più patriottica, interclassista, interventista in caso di guerra e sempre meno distinguibile da Finiani ed ex missini: siamo tutti patrioti, no?
L’errore strategico è appunto quello di pensare che in questo modo si possano aprire crepe nell’Italia berlusconizzata o peggio nella Mordor padana. L’unità d’Italia e il tricolore vengono rilanciati come baluardi di un nuovo patto sociale: ma quale?
Se, da sinistra, abbiamo la forza di considerare, quella italiana, una unità incompiuta e il tricolore un simbolo “pericoloso” visto il suo curriculum storico non potrebbero esserci garanti peggiori per un nuovo patto sociale!
C’è sicuramente un Italia migliore ma, se non minoritaria, è stretta tra l’italia berlusconizzata che è alleata scomoda della Padania razzista dei cartelli stradali in dialetto: quest’ultima da sola ha un consenso al nord del 40%; a cosa serve sventolargli in faccia il tricolore se non ad aizzarli ancora di più?
La libertà di scelta implica il fatto che bisogna costruire una prospettiva diversa: combattere le camicie verdi e il malaffare berlusconiano impone di avere un progetto culturale, sociale ed economico radicalmente alternativo. Per arrivarci è necessario anche uscire dalla logica imposta di dover scegliere tra la piccola patria verde, gretta e razzista costruita sulla paura e sulle necessità dei piccoli imprenditori e la grande patria, fintamente europea ma anch’ella provinciale e costruita sulla televisione e sui bisogni di banchieri e speculatori.