Presentiamo qui uno strumento per attaccare la crisi, per non pagarla e, unendosi, andare a rivendicare quelle porzioni di ricchezza sociale che vengono quotidianamente privatizzate. Dalla proposta di audit a livello nazionale, alla “monotonia” di un posto stabile che non arriva mai, passando per il diritto alla casa e ai servizi, per la necessità di difendere i territori dalle speculazioni, fino al rivendicare un reddito garantito per tutt*.
Servirebbe una bella botta, una rivoluzione. Mario Monicelli
Siamo lavoratori e lavoratrici, studenti, precari, attivisti e attiviste dei movimenti sociali, di difesa dei beni comuni, delle donne, lgbt, della solidarietà internazionale, convinti che occorra sollevarsi contro il capitalismo e la sua crisi. Ci sentiamo parte del Movimento spagnolo 15M, della rivolta greca, delle rivoluzioni arabe, dei movimenti americani e di tutti coloro che hanno deciso di prendere parola, di mettersi in gioco, di sollevarsi contro l’ingiustizia.
La crisi economica globale è una crisi del capitalismo, dei suoi politici e delle caste che lo difendono, dei suoi meccanismi interni di funzionamento: massimizzazione del profitto e compressione dei diritti sociali, distruzione ambientale, guerra e povertà.
Noi pensiamo che le nostre vite valgono più dei loro profitti.
Rivolta il debito è più di uno slogan, è campagna nel movimento che vuole ribaltare il tavolo su cui giocano banchieri e capitalisti per far pagare a noi questa crisi.
Rivolta il debito è una iniziativa aperta, virale, contagiosa, fatta di azioni dirette e dibattiti, approfondimenti e manifestazioni, partecipata da tutti e tutte coloro che la condividono e vogliono utilizzarla per organizzare la rivolta!
Vogliamo costruire una grande campagna per l’annullamento del debito e ci sentiamo parte della grande assemblea del 1 ottobre nata sull’onda dell’appello “Dobbiamo fermarli”. Facciamo riferimento all’esperienza internazionale del Cadtm, il movimento per l’Annullamento del debito del terzo mondo che ormai si è concentrato sui debiti dei paesi del “nord” del mondo.
Ma vogliamo andare ancora oltre: puntiamo a un grande movimento di massa, plurale, democratico e soprattutto, autorganizzato come metodo decisivo dell’azione politica.
Rivoltare il debito per attraversare, suscitare e mettere in rete tutti i nodi dello scontro sociale e dei movimenti, come premessa indispensabile per difendere i diritti del lavoro, spezzare la precarietà, affermare i diritto allo studio, garantire la dignità e i diritti delle donne, la libertà sessuale, garantire i territori dall’assalto del profitto. Vogliamo costruire un movimento generale per la trasformazione del nostro paese e di un mondo che sembra non reggere più il peso delle proprie contraddizioni.
Vogliamo un altro mondo fondato sui bisogni e non sui profitti. Vogliamo un’altra società, alternativa al capitalismo, al suo sfruttamento unito ad autoritarismo e corruzione. Una società fondata sulla democrazia radicale, la partecipazione e in cui a ciascuno sia dato secondo i suoi bisogni e da ciascuno provenga a seconda delle proprie capacità. “Servirebbe una bella botta, una rivoluzione” ha detto il grande Monicelli. Noi vogliamo esserne parte.
APPELLO PER UN AUDIT DEI CITTADINI SUL DEBITO PUBBLICO
Scuole, ospedali, alloggi d’urgenza…Pensioni, disoccupazione, cultura, ambiente…viviamo quotidianamente l’austerità finanziaria e il peggio deve venire. “Noi viviamo al di sopra dei nostri mezzi”, questo è il ritornello che ci viene ripetuto dai grandi media. Ora “occorre rimborsare il debito” ci si ripete mattina e sera. “Non abbiamo scelte, occorre rassicurare i mercati finanziari, salvare la buona reputazione, la tripla A”. Non accettiamo questi discorsi colpevolizzanti. Non vogliamo assistere da spettatori alla rimessa in discussione di tutto ciò che ha reso ancora vivibile le nostre società, anche in Europa. Abbiamo speso troppo per la scuola e la sanità oppure i benefici fiscali e sociali dopo venti anni hanno prosciugato i bilanci? Questo debito è stato contratto nell’interesse generale oppure può essere considerato in parte come illegittimo? Chi possiede questi titoli e approfitta dell’austerità? Perché gli Stati devono essere obbligati a indebitarsi presso i mercati finanziari e le banche mentre queste possono farsi concedere prestiti direttamente e a un costo più basso dalla Banca centrale europea? Non accettiamo che queste questioni siano eluse o affrontate alle nostre spalle da esperti ufficiali sotto l’influenza delle lobbies economiche e finanziarie. Vogliamo dire la nostra nel quadro di un ampio dibattito democratico che deciderà del nostro avvenire comune. In fine dei conti, siamo dei giocattoli nelle mani degli azionisti, degli speculatori e dei creditori oppure cittadini, capaci di deliberare insieme sul nostro avvenire? Noi ci mobiliteremo nelle nostre città, nei quartieri, nei villaggi, nei nostri luoghi di lavoro, lanciando l’idea di un grande audit del debito pubblici. Vogliamo creare sul piano nazionale e locale dei collettivi per un audit dei cittadini con i nostri sindacati e associazioni, con esperti indipendenti, con i nostri colleghi, i vicini, i concittadini. Prenderemo in mano i nostri destini perché la democrazia riviva.
In Francia l’appello ha superato le 50 mila adesioni, in Belgio le associazioni Attac e Cadtm hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato contro i 54 miliardi per salvare la banca Dexia, in Grecia c’è un comitato attivo da un anno. Incontriamoci anche in Italia Articolo dopo articolo, grazie anche all’attenzione che il manifesto sta ponendo, la questione dell’audit sul debito pubblico, cioè l’indagine su come è stato formato il debito, come viene gestito, quali interessi soddisfa e quali bisogni comprime, sta diventando un nodo del dibattito politico. E, forse, può diventare un tema di iniziativa politica, iniziativa democratica soprattutto, legata alla partecipazione e allo sviluppo di un movimento di massa. Sugli aspetti tecnici e anche sulla necessità di mettere al centro la partecipazione democratica, in particolare dal basso e a livello locale, hanno ben scritto Guido Viale e Francesco Gesualdi. Vale la pena rafforzare quelle analisi con uno sguardo più generale perché anche in Europa il tema dell’audit, in funzione di una ristrutturazione, rinegoziazione o annullamento del debito pubblico illegittimo, sta diventando un elemento dell’attività di associazioni, sindacati e partiti. In Francia, ad esempio, l’appello rilanciato in Italia da Rivolta il debito ha già superato le 50 mila adesioni mentre in Belgio, solo pochi giorni fa le associazioni Attac e Cadtm – in prima linea nell’impegno per l’annullamento del debito illegittimo – hanno presentato un ricorso legale al Consiglio di Stato per annullare gli aiuti da 54 miliardi di euro deliberati dal governo transitorio – da oltre un anno – a favore della banca Dexia (già fallita una volta e salvata dallo Stato e ora di nuovo a rischio fallimento). Ma l’attività più interessante è forse quella realizzata in Grecia dove un Comitato è stato insediato circa un anno fa e una vera e propria campagna ha accompagnato le mobilitazioni degli ultimi mesi. Come scrive uno dei fondatori del comitato greco, George Mitralias, la campagna ha contribuito a precisare «le ambizioni e la missione delle campagne per l’audit del debito pubblico» ben sapendo che l’Unione europea «non è l’Ecuador di Rafael Correa», dove l’audit è stato effettuato con successo nel 2007.
È bene non nascondersi questo aspetto, per non peccare di ingenuità o di astrattezza degli obiettivi: non esiste, al momento, una forza politica, nazionale o europea, in grado di farsi carico della proposta. Che quindi compete a un’iniziativa autodeterminata e autorganizzata. Del resto, un movimento che ponesse la questione della trasparenza del debito e la sua gestione democratica porrebbe già un problema di democrazia e di partecipazione alternative all’autoritarismo di cui è intrisa la costruzione europea e la politica della troika (Ue, Bce, Fmi). Ma contribuirebbe anche ad affermare un principio semplice e complicato allo stesso tempo: il debito non è un dato inspiegabile e nemmeno un totem a cui sacrificare il modello sociale europeo. Se lo si guarda in profondità si legge la materialità delle politiche economiche degli ultimi venti-trenta anni e la stratificazione delle diseguaglianze.
Per questo non è un affare per soli esperti. E proprio per gli ostacoli che un’indagine seria, competente, indipendente, potrebbe avere, l’audit non avrebbe senso, né efficacia, senza una mobilitazione diretta, una partecipazione attiva e una consapevolezza diffusa. In questo senso va sviluppata l’idea dei comitati locali per l’audit, che si muovano a partire dai debiti locali, indagando come funzionano gli enti locali, le società di servizio pubblico ma anche le imprese private dove spesso i lavoratori si vedono mettere alla porta, o in cassa integrazione, per ragioni di bilancio. Tutto questo può e deve divenire oggetto di una campagna diffusa in cui si affermi l’idea che lavoratori, studenti, precari, cittadini e cittadine sono in grado di occuparsi del proprio futuro e in grado di gestire consapevolmente anche le tematiche economiche e di bilancio. In Grecia, ad esempio, la diffusione dell’iniziativa ha permesso anche di creare un’iniziativa specifica di donne «contro il debito e l’austerità». Insomma, l’audit deve e può rappresentare un’occasione di dibattito ampio e di iniziativa di partecipazione e anche di autodeterminazione. Ma, appunto, senza nascondersi la dimensione globale della gestione della crisi, la proposta, se vuole collegare la resistenza all’austerità su scala internazionale, per lo meno europea, deve darsi anche una dimensione sovranazionale. Del resto, il ritardo con cui i movimenti sociali, i sindacati, le forze della sinistra, si muovono su scala mondiale e regionale, in un mondo dominato dalla globalizzazione, è più che colpevole e la stessa esperienza fatta dieci anni fa con i Social forum sembra essersi diradata. Un’iniziativa verso l’audit, anche su scala europea, è la spinta che sta cercando di dare il Cadtm, il Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondo che ha organizzato a metà dicembre a Liegi, un seminario ad hoc sul tema in cui un contributo notevole è stato offerto dalla relazione di Maria Lucia Fattorelli (disponibile in italiano suwww.rivoltaildebito.org e su www.cnms.it/campagna_congelamento_debito). Un testo in cui è disponibile un dato finora sfuggito alla grande informazione (ne ha parlato in un articolo Riccardo Petrella): l’impegno astronomico da parte della Fed statunitense, tra il 2007 e il 2010, per salvare dal crack le grandi banche e le grandi imprese. Circa 16.000 miliardi di dollari (più dell’intero debito pubblico Usa stimato in 14.500 miliardi di dollari) spesi segretamente e dirottati su aziende come Merrill Lynch, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Citigroup, Bank of America ma anche, in un mondo globale, Deutsche Bank, Credit Suisse, Royal bank of Scotland, Ubs e Bnp Paribas. Il dato è stato reso pubblico il 21 luglio scorso, guarda caso da un… audit istituzionale realizzato dal Government Accountability Office, una commissione di inchiesta del Congresso Usa incaricata della contabilità pubblica.
Oltre a rendere evidente come il servizio del debito sia un affare «molto redditizio» per il sistema finanziario privato – i cosiddetti “mercati” che impongono le manovre di austerità – questa informazione chiarisce meglio l’impatto che potrebbe avere su una ampia opinione pubblica una procedura di indagine accurata sui debiti sovrani. L’operazione va però fatta anche sui bilanci delle banche, di cui non è mai stato reso pubblico, finora, l’ammontare dei titoli tossici detenuto (informazione ben conosciuta dai tecnocrati europei oltre che dai dirigenti delle banche stesse e che spiega la gran parte delle manovre finanziarie). Lungi dall’essere recuperato, il debito pubblico viene quindi ancora alimentato dalle nuove manovre di salvataggio. «Un audit del debito – scrive Fattorelli – rappresenta una opportunità per ottenere la documentazione relativa all’indebitamento e per mostrare la vera natura di ciò che viene chiamato pubblico. I risultati dell’audit possono spingere delle azioni concrete in tutti i campi: popolare, parlamentare, giuridico e la messa in opera di politiche differenti”.
Gli aspetti di trasparenza, di partecipazione democratica, di svelamento della natura privata del debito pubblico, non sono ovviamente fini a se stessi ma servono a definire una politica alternativa a quella dominante ben sapendo che nella prima ricaduta operativa dell’audit, cioè la rinegoziazione e/o l’annullamento del debito illegittimo, risiede una prima misura di grande portata. Annullare o ridurre (il nobel Roubini propone di ristrutturare il debito riducendone il valore almeno del 25 per cento) significa far pagare una “vera” patrimoniale a tutta quella montagna di fortune accumulate illecitamente o indebitamente: evasione fiscale, profitti a man bassa, interessi privati, rendite finanziarie, somme detenute all’estero e in paradisi fiscali, etc. Patrimoni che, secondo il premier Mario Monti, non si possono misurare e quindi colpire ma che se fossero intaccati significativamente da un’operazione sul debito potrebbero finalmente contribuire, come è giusto, a risanare i conti pubblici ma soprattutto a redistribuire significativamente il reddito, l’unica via d’uscita dalla condizione attuale. Ma per far questo serviranno anche politiche alternative robuste come la nazionalizzazione delle banche, la riforma fiscale, la riduzione dell’orario di lavoro, l’istituzione di un reddito sociale, un ampio intervento di risanamento del territorio.
L’audit, quindi, non è una proposta “tecnica” o un espediente da economisti e/o esperti ma uno strumento politico per una iniziativa di massa. E a questo punto vale la pena avanzare una proposta precisa: coloro che sono d’accordo nel cimentarsi con questa ipotesi, firmatari dei vari appelli circolati in queste settimane, decidano rapidamente di incontrarsi per capire quale proposta concreta avanzare e quale piano di lavoro comune è possibile approntare. L’urgenza della crisi, la natura epocale dei cambiamenti in atto richiede una capacità supplementare di iniziativa e una innovazione delle idee e delle pratiche. Vale la pena provarci.
(SCRITTO DA SALVATORE CANNAVÒ – IL MANIFESTO | 05 GENNAIO 2012)
L’audit civico del debito: come e perchè!
di Damien Millet, Éric Toussaint
http://rivoltaildebito.globalist.it/news/laudit-civico-del-debito-come-e-perch%C3%A8
La questione del pagamento del debito costituisce sicuramente un tabu. È presentato dai capi di Stato e di governo, dalla Banca Centrale Europea (BCE), dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), dalla Commissione Europea (CE) e dalla stampa dominante come ineludibile, indiscutibile, doveroso. Cittadini/e dovrebbero rassegnarsi a pagare. L’unica discussione possibile riguarda la maniera di modulare la distribuzione dei sacrifici indispensabili per concretizzare gli strumenti di bilancio che consentano di mantenere l’impegno assunto dal paese indebitato. I governi che hanno ottenuto prestiti sono stati eletti democraticamente, per cui le azioni effettuate sono legittime. Quindi, bisogna pagare.
L’audit civico è uno strumento per eliminare questo tabu. Esso consente a uno strato crescente della popolazione di rendersi conto in lungo e in largo del processo di indebitamento di un paese. Consiste nell’analizzare criticamente la politica di indebitamento da parte delle autorità del paese.
Le domande che vanno poste
● Perché lo Stato è stato indotto a contrarre un debito che non cessa mai di gonfiarsi?
● Al servizio di quali scelte politiche e di quali interessi è stato contratto il debito?
● Chi se ne avvantaggia?
● Era possibile, o necessario, fare altre scelte?
● Chi presta?
● Chi detiene il debito?
● Chi presta pone delle condizioni alla concessione dei prestiti? Quali?
● Che compenso ricava chi presta?
● Come si è impegolato lo Stato nel prestito, attraverso quale decisione, presa a quale titolo?
● Quanti interessi sono stati pagati, a quali tassi, quale quota dell’ammontare complessivo è già stata restituita?
● Come hanno fatto alcuni debiti privati a diventare “pubblici”?
● In che condizioni si è effettuato questo o quel salvataggio bancario? Quale ne è stato il costo? Chi lo ha deciso?
● Bisogna indennizzare gli azionisti responsabili del disastro insieme agli amministratori che loro hanno designato?
● Quale quota del bilancio statale va al rimborso del capitale e quale agli interessi del debito?
● Come finanzia lo Stato il pagamento del debito?
Non è necessario penetrare segreti di Stato per trovare le risposte
Per rispondere a tutte queste domande – è la lista non finisce qui – non occorre rivelare segreti di Stato, accedere a documenti non ufficiali della Banca centrale, del ministero delle Finanze, del FMI, della BCE, della CE, delle banche, delle Camere di compensazione come Clearstream o Euroclear,[1] o contare sulle notizie confidenziali di qualcuno che lavora in uno di questi organismi. Naturalmente, tanti documenti gelosamente protetti da governi e banche dovrebbero assolutamente essere messi a disposizione del pubblico e sarebbero utilissimi per affinare l’analisi. Occorre quindi esigere di avere accesso alla documentazione indispensabile per un audit completo. Tuttavia, è perfettamente possibile procedere a un rigoroso esame dell’indebitamento pubblico a partire dalla documentazione disponibile in ambito pubblico. Sono numerose le fonti accessibili per chi voglia darsi da fare: la stampa, le relazioni della Corte dei Conti, i siti internet delle istituzioni parlamentari, della banca nazionale, dell’agenzia incaricata della gestione del debito, dell’OCSE, della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), della BCE, delle banche private, delle organizzazioni e dei collettivi che si sono lanciati nell’esame critico dell’indebitamento (www.cadtm.org., www.attac.org., ecc.). Non si deve esitare a chiedere a parlamentari di fare interrogazioni al governo o a consiglieri locali di farlo con gli enti locali.
L’audit non è un problema da esperti
Esercitare l’audit non è un compito riservato agli esperti. Sono ovviamente benvenuti e possono contribuire parecchio al lavoro collettivo dell’audit dei cittadini. Ma un collettivo può cominciare il lavoro senza per forza avere la copertura di specialisti. Ognuno di noi può parteciparvi e lavorare per portare alla luce del sole il processo dell’indebitamento pubblico. Nel 2011, si è messo in moto in Francia un collettivo nazionale per l’audit civico del debito pubblico (www.audit-citoyen.org), che raggruppa numerosi movimenti sociali e politici, e l’appello alla sua costituzione è stato sottoscritto da diverse decine di migliaia di persone. In questo quadro, si sono costituiti decine di collettivi sparsi un po’ in tutto il paese. Del resto, si può partire anche da realtà locali per partecipare all’audit dei debiti pubblici. Si può cominciare analizzando i prestiti strutturati venduti alle comunità locali da Dexia (vedi Belgio: banche sanguisughe) o altre banche. C’è già un lavoro in proposito. L’associazione francese dei “Soggetti pubblici contro i titoli tossici” raccoglie una decina di collettivi locali [www.empruntstoxiques.fr]. Si possono anche cominciare a studiare le difficoltà finanziarie che hanno incontrato gli ospedali pubblici presenti sul territorio. Iniziative per audit pubblici si sviluppano anche in Grecia, in Irlanda, in Spagna, in Portogallo, in Italia e in Belgio.
Si possono anche affrontare altri ambiti in materia di debiti privati, In paesi come la Spagna, l’Irlanda, dove l’esplosione della bolla immobiliare ha sommerso nello sconforto centinaia di migliaia di famiglie è utile affrontare i debiti ipotecari delle coppie. Le vittime dell’operato dei prestatori possono portare la propria testimonianza e aiutare a capire il processo illegittimo dell’indebitamento che le investe.
Un ricchissimo campo di intervento
Il campo d’intervento di un audit del debito pubblico è infinitamente promettente e non ha nulla a che vedere con la caricatura che lo riduce a una semplice verifica di cifre effettuata da contabili di routine. Al di là del controllo finanziario, l’audit ha una funzione eminentemente politica, legata a due fondamentali esigenze della società: la trasparenza e il controllo democratico dello Stato e dei governi da parte dei cittadini.
Si tratta di bisogni che si riferiscono a diritti democratici assolutamente elementari, riconosciuti dal diritto internazionale, da quello interno e dalla Costituzione, ancorché permanentemente violati. Il diritto dei cittadini di verificare le azioni di coloro che li governano, di informarsi su tutto quel che riguarda la gestione, gli obiettivi e le motivazioni di queste, è insito nella democrazia stessa. Deriva dal diritto fondamentale dei cittadini di esercitare il proprio controllo sul potere e di partecipare attivamente agli affari pubblici, e quindi comuni.
Il fatto che i governanti si oppongano all’idea che dei cittadini osino realizzare un audit civico è rivelatore di una democrazia molto malata che, per altro verso, non cessa di bombardarci attraverso i mezzi di comunicazione di massa con la retorica sulla trasparenza. Il continuo bisogno di trasparenza per quanto riguarda le faccende pubbliche si trasforma in bisogno sociale e politico assolutamente vitale e, per ciò stesso, la trasparenza vera costituisce l’incubo peggiore per gli strati dirigenti.
L’audit civico per il ripudio del debito illegittimo
La realizzazione di un audit civico del debito pubblico, accompagnato, grazie alla mobilitazione popolare, dalla soppressione del rimborso del debito stesso, deve sfociare nell’annullamento/ripudio della parte illegittima dello stesso e nella drastica riduzione del debito che resta.
Non si tratta di sostenere gli alleggerimenti del debito decisi dai creditori. Specie perché implicano pesanti contropartite. L’annullamento, che diventa allora un ripudio ad opera del paese debitore, è un gesto sovrano unilaterale molto forte.
Perché lo Stato indebitato deve ridurre radicalmente il proprio debito pubblico procedendo ad annullare i debiti illegittimi? In primo luogo per motivi di equità sociale, ma anche per ragioni economiche che tutti possono capire e far proprie. Per uscire dalla crisi dall’alto, non ci si potrà limitare a rilanciare l’attività economica grazie alla domanda pubblica e a quella delle famiglie. Se ci si limita infatti a questo tipo di politica di rilancio, insieme a una riforma fiscale redistributiva, le raccolte fiscali in più verranno risucchiate dal rimborso del debito pubblico. I contributi imposti alle famiglie più ricche e alle grandi imprese private (nazionali o straniere) saranno ampiamente compensati dalla rendita che queste ricavano dalle obbligazioni di Stato di cui sono di gran lunga le principali detentrici e beneficiarie (ragion per cui non vogliono sentir parlare di un annullamento del debito). Bisogna dunque assolutamente annullare una parte molto grande del debito pubblico. La dimensione di questa parte dipenderà dal livello di coscienza della popolazione vittima del sistema del debito (su questo piano, l’audit civico svolge una funzione cruciale), dagli sviluppi della crisi economica e politica e, soprattutto, dai concreti rapporti di forza che si costruiscono nelle strade, nelle pubbliche piazze e nei luoghi di lavoro attraverso mobilitazioni presenti e future.
La drastica riduzione del debito pubblico è condizione indispensabile ma non sufficiente per fare uscire dalla crisi i paesi dell’Unione Europea. Sono indispensabili misure complementari: riforma fiscale redistributiva, trasferimento in ambito pubblico del settore delle finanze, ri-socializzazione di altri settori economici chiave, riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga con ripercussioni sull’occupazione, e anche una serie di altre misure[2] che consentano di invertire l’andamento attuale che ha portato il globo in un vicolo cieco esplosivo.
*Damien Millet è portavoce del CADTM in Francia. Éric Toussaint è dottore in scienze politiche, presidente del CADTM belga, membro della Commissione di audit integrale del debito (CAIC) dell’Ecuador e del Consiglio scientifico di Attac France. Hanno curato insieme il volume La Dette ou la Vie, Aden-CADTM, 2011. Di D. Millet ed É. Toussaint è appena uscito presso la Casa editrice Alegre di Roma il volume Debitocrazia, acquistabile presso Il megafonoquotidiano con lo sconto del 15% e senza spese di spedizione.
[1] Clearstream ed Euroclear sono tra le principali Camere di compensazione (clearing houses) e tengono il registro di gran parte dei titoli del debito pubblico in mano alle banche. Una camera di compensazione è un organismo che calcola somme nette da pagare ed esegue i pagamenti. La compensazione è un meccanismo che consente a istituti finanziari di saldare l’ammontare dovuto e di ricevere gli attivi corrispondenti alle transazioni da essi effettuate sui mercati. In questo modo, gli istituti finanziari dispongono di flussi finanziari e titoli solo tramite camera di compensazione
[2] Si veda (nel sito del CADTM): E. Toussaint, Huit propositions urgentes pour une autre Europe, 4 aprile 2011.
Nel dibattito nazionale sulla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali un “appello” sul tema del reddito garantito
Invitiamo, tutti coloro che ritengano che in questa fase sia utile ed importante sostenere il tema del reddito garantito ad inviare il proprio contributo o articolo inviando una mail ad info@bin-italia.orgcon nome cognome (o nome collettivo se scritto a più mani
«Entro il mese di marzo»: questa la scadenza fornita da Mario Monti per riformare il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali. Nei primi giorni di gennaio 2012 sono partite le consultazioni del ministro del Welfare Elsa Fornero, che poche settimane prima si era dimostrata favorevole all’introduzione di un reddito minimo garantito anche nel nostro Paese. Visto il modo di operare fin qui svolto dall’attuale governo nel comunicare le iniziative politiche e viste le poche informazioni in circolazione al momento, non abbiamo ancora compreso cosa significhi in concreto riformare gli ammortizzatori sociali e quali siano le opzioni realmente in gioco.
Nel frattempo i dati diffusi da enti statistici e centri di previsione economica certificano l’aumento della disoccupazione, una precarizzazione sempre più selvaggia, l’abbassamento dei salari e il conseguente, generale, scivolamento verso il basso dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, giovani e vecchi, precari o garantiti che siano. In tutto questo, le politiche di austerity creano pressioni inedite su quelle forme di “welfare familistico” a cui per anni e fino ad ora, è stato delegato di risolvere le storture del welfare pubblico italiano e fornire una sorta di compensazione per l’assenza di una qualsivoglia misura universalistica di sostegno al reddito.
Per questo oggi il tema del reddito garantito diviene centrale, ineludibile, urgente. L’urgenza è data non solo dal peggioramento spaventoso della condizioni sociali, ma anche dall’emergere di una nuova aspettativa da una parte sempre più viva e larga di popolazione, che vede nel reddito garantito una concreta opportunità di garanzia e tutele. È testimonianza di ciò la straordinario risultato della legge regionale del Lazio in tema di reddito garantito, che ha portato nel 2009 all’emersione di oltre 120.000 domande di sostegno, totalmente inattese e largamente superiori alle previsioni, da parte di coloro che non arrivano a 8000 euro l’anno.
In questo periodo che ci porterà alla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, la parola d’ordine del reddito garantito può e deve diventare al più presto occasione di confronto per tutti i soggetti sociali che subiscono la crisi in maniera oppressiva. Far emergere la necessità del diritto al reddito significa ridare corpo e voce a quella “folla solitaria” in cerca di opportunità di lavoro e di sopravvivenza. Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani, cassaintegrati senza più cassa, precari di prima generazione (quelli tra i 35/50 anni), di seconda generazione (tra i 20/35 anni), componenti della generazione Neet (tra i 16/25 anni), donne, famiglie con un solo stipendio, immigrati, figure operaie ormai in dismissione, lavoratori over 50 non più spendibili sul mercato, working poors diffusi anche tra il lavoro autonomo e la lista potrebbe allungarsi.
Sul tema del reddito si possono unire tutte le singolarità che subiscono, spesso in silenzio, nuove forme di povertà, per ricostruire una solidarietà intra-generazionale, tra chi ha perso un lavoro e non riesce a ricollocarsi, e chi, un po’ più giovane, è costretto a svolgere un lavoretto precario cui non riesce a dire di no, pur di racimolare qualche soldo a fine mese. Sul tema del reddito si possono unire coloro che pensano sia necessario coltivare forme di autonomia, di autodeterminazione, di libertà di scelta, anche della vita professionale, senza per questo dover continuamente sottostare ai ricatti del lavoro purché sia. Sul tema del reddito si possono unire studenti, giovani, ai quali non piace il futuro che si offre loro perché subiscono un presente senza diritti. Sul tema del reddito possono e debbono prendere parola tutti i cittadini di questo Paese convinti che al centro delle politiche di contrasto alla crisi debba esserci una misura di distribuzione delle ricchezze.
Auspichiamo insomma una presa di parola capace di unire, di definire un obiettivo comune, indipendente dalla miriade di storie private ed individuali, che in verità ormai raccontano una storia unica fatta di povertà, ricatti e privazioni. Una presa di parola sul reddito garantito per tornare a guardare con fiducia al “futuro” a partire dal presente, per immaginare un orizzonte oltre la crisi, con maggiore giustizia sociale, in cui sia possibile una distribuzione delle ricchezze, in cui non sia più accettabile che alcuni percepiscano compensi superiori di oltre 500 volte quelli di un lavoratore medio. Occorre una presa di parola per dare visibilità al rischio di “default sociale” che stiamo vivendo e far si che intorno al tema del reddito garantito prendano parola i senza diritti insieme a chi i diritti rischia di perderli quotidianamente.
Insomma, in questa fase così strategica ci sembra necessaria una presa di parola larga, in grado di unire la frammentazione sociale, per lanciare una proposta politica concreta nel pieno del dibattito sulla riforma degli ammortizzatori sociali, affinché il tema del reddito garantito venga preso in considerazione in maniera seria, forte, concreta, urgente come nuovo diritto fondamentale per la realizzazione di vite degne.
Auspichiamo che a questa richiesta di presa di parola sul tema del reddito ne seguano altre di singoli cittadini e soggetti collettivi, personalità scientifiche e culturali, esponenti della politica locale e nazionale; di tutti coloro che insomma ritengano non sia più possibile rimandare un tema così importante per la coesione sociale, la libertà e dignità delle persone. Con la convinzione che questa presa di parola individuale e collettiva possa trasformare l’attuale frammentazione, solitudine e disagio sociale, in una massa critica verso l’obiettivo comune del reddito garantito.
Basic Income Network – Italia
(http://www.bin-italia.org)