Il 17 e il 18 dicembre in tutto il mondo si sono tenute azioni antirazziste, per i diritti di migranti, sfollati e rifugiati.
Oltre alla manifestazione di Roma e alle iniziative culturali, a Bologna migranti e attivisti sociali si incontreranno per contestare il CENTRO di IDENTIFICAZIONE ed ESPULSIONE di via Mattei che Alfano vorrebbe riaprire dopo la chiusura.
Questi centri, che violano la carta dei diritti dell’uomo, permettono una lunga detenzione amministrativa, grazie al reato di clandestinità che nega la possibilità per un uomo di esistere in un dato luogo.
In una di queste strutture, inaugurate, pur con diversi acronimi, dalla legge Turco-Napolitano e confermate dalla Bossi-Fini, si è suicidato pochi giorni fa un ragazzo di 21 anni fuggito dall’Eritrea. Paese tra l’altro su cui ha influito non poco il colonialismo italiano nel novecento.
Questi lager per assorbire i flussi di migranti non sono però gli unici elementi di una legislazione nazionale arretrata in un’Europa sempre più barricata nei suoi confini.
In questo modo la mancanza di politiche dell’accoglienza, nel nostro paese, si somma alla pattugliamento delle frontiere europee con FRONTEX, ai rimpatri forzati e al ricatto lavoro-diritti.
Nelle trasformazioni della crisi economica i dispositivi di accesso alla cittadinanza, quindi ai diritti, si intrecciano con le politiche di austerità.
In un’Europa che trasferisce all’estero la produzione di merci, i migranti diventano mezzi per gerarchizzare la manodopera e creare una concorrenza al ribasso tra lavoratori.
A livello europeo associazioni e movimenti migranti e antirazzisti si troveranno a Lampedusa dal 31 gennaio al 2 febbraio per scrivere una carta che elabori una cittadinanza dal basso, misurata sui bisogni e le speranze delle persone, non sugli imperativi del mercato.
Sicuramente a questa discussione va affiancato il lavoro quotidiano nei territori in cui viviamo, dove sono sempre più acute e le conseguenze della depressione economica sulle classi più deboli, migranti o autoctone che siano.
Se gli sfruttatori hanno sempre giocato al divide et impera con gli sfruttati, è proprio giunto il momento di fare gioco di squadra.
I 368 migranti morti nelle acque attorno a Lampedusa qualche mese fa sono indissolubilmente legati alla chiusura delle fabbriche, alla delocalizzazione e alle speculazioni borsistiche sui beni di prima necessità.
Da soli non si vince, è un’unica lotta. A Mantova non abbiamo solo un crescente numero di fabbriche e capannoni vuoti, ma anche una crescita di sfratti, di palazzi vuoti e di persone costrette a dormire in strada.
Le strutture esistenti per fare fronte al problema sono totalmente inadeguate e il comune si guarda bene dall’intervenire, dato che, come dichiarato da un assessore, poi arriverebbero disperati da tutta Italia.
Effettivamente ci pare che gli amministratori siano più concentrati a svendere patrimonio pubblico, privatizzare e fare cassa. Questo meccanismo sembra accelerare le speculazioni di tipo edilizio, in quanto diventa molto semplice porre ricatti agli enti locali.
Alcune di queste inutili costruzioni lasciate a metà vengono utilizzate come riparo dal freddo in una quotidiana battaglia tra interesse privato e bisogno comune.
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