Il 25 aprile e l’esercizio quotidiano di una pratica e critica antifascista, che rifiuti quindi ogni sopraffazione verso un soggetto più debole, devono per noi immergersi completamente nelle contraddizioni della contemporaneità in modo da evitare l’avanzare di devastazione e barbarie.
Non è assolutamente vero che l’antifascismo sia un concetto superato e ce l’ha dimostrato le donne del popolo kurdo a cui vorremmo dedicare questa festa della liberazione.
Tra le bombe di Assad e l’avanzata dell’ISIS hanno saputo organizzare una resistenza popolare in Rovaja (nel nord della Siria), una repubblica popolare organizzata attraverso i principi dell’autogestione territoriale e della democrazia partecipata.
Il 2015 si è aperto con la strage alla redazione di Charlie Hebdo da parte di un commando legato al fondamentalismo islamico.
La campagna d’odio contro l’islam in genere che ne è scaturita non si è manifestata solo in intimidazioni alle moschee e alla comunità islamica, ma anche nelle parole di esponenti politici volte a rafforzare il razzismo istituzionale verso i migranti che caratterizza la fortezza europa. In questo contesto l’islamofobia assume sempre più i tratti di quello che è stato l’antisemitismo negli anni ’30 e garantire la libertà di culto e spostamento ci sembra il primo passo per chi si dichiara antirazzista.
L’ostruzionismo istituzionale della Carta di Dublino, le ingenti risorse per costruire centri di reclusione e finanziare le operazioni di polizia contro i clandestini e la speculazione sull’accoglienza sono i dispositivi per escludere una parte di popolazione dai diritti di cittadinanza.
In una fase storica in cui l’Europa è governata in modo autoritario dalle istituzioni economiche (BCE e FMI) che impongono riforme peggiorative del mercato del lavoro e del rapporto tra proprietà pubblica e privata, l’attacco verso le fasce meno tutelate diventa la leva di legittimazione politica della destra autoritaria e conservatrice.
Operazioni come quella di Salvini e Casa Pound puntano ad inserirsi nella classe media impoverita dall’austerità insistendo su una differenziazione nell’accesso al welfare e in una stigmatizzazione delle differenze.
In questo modo le campagne “prima gli italiani”, omogenei come se non ci fossero enormi differenze negli interessi di un precario e in quelle di un amministratore delegato, si legano alla denigrazione di qualsiasi alterità nei modelli di comportamento, dai nomadi alle sottoculture giovanili. Su questo piano si è prodotto un legame tra l’estrema destra e il conservatorismo cattolico, che in Italia come in Spagna sfrutta le tensioni date dalla depressione economica per recuperare terreno sul controllo dei corpi delle donne e della sessualità.
Iniziative come quelle delle Sentinelle in Piedi vorrebbero conservare il ritardo del nostro paese rispetto il riconoscimento istituzionale della multi-dimensionalità del genere (come riconosciuto dai genere studies presenti da decine d’anni nelle principali università del mondo) e ai diritti civili e sociali che vengono negati.
In Italia serve una scossa che leghi queste oppressioni, per quanto contraddittorie, in una nuova “sintesi degli esclusi” che rivendichi democrazia, diritti e uguaglianza.
Il lavoro e le scuole sono definitivamente piegati verso una strutturazione autoritaria con il jobs act e la buona scuola del governo Renzi. Lo stesso sta avvenendo in tutta Europa con i diktat classisti di Francoforte e la crescita della destra radicale con le sue soluzioni razziste, per questo è necessario solidarizzare con chi sta provando a ribaltare i paradigmi neoliberisti con politiche redistributive e sovranità popolare come il governo di Syriza e l’esperienza spagnola di Podemos.
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