RICONVERTIRE UN PETROLCHIMICO?
INTERVISTA AD UN LAVORATORE DELLA IES
[intro e intervista a cura di Favilla-CommuniaMantova]
Si avvicina il primo maggio e la data di mobilitazione nazionale contro il grande evento di EXPO2015 denominato “nutrire il pianeta”. Ci sembra il contesto più adatto per pubblicare l’intervista fatta a fine febbraio a Stefano Lodi Rizzini (lavoratore della raffineria e iscritto CGIL) della RSU della IES. L’ anno scorso la raffineria, da qualche tempo sotto la gestione del gruppo multinazionale IES-MOL, ha deciso di chiudere la raffinazione di idrocarburi per divenire mero centro di stoccaggio. Mantova nel secondo dopoguerra ha legato il suo destino al distretto chimico-industriale definendo uno skyline di tubature e camini parallelo a quello risorgimentale. Allo stesso tempo sono stati inquinati irreparabilmente quei laghi che la circondano e che per secoli l’hanno protetta definendone clima e morfologia. Questa intervista a cura del collettivo Favilla – CommuniaMantova tocca tutti i passaggi della lotta per la difesa del posto di lavoro, le relazioni con il mercato mondiale degli idrocarburi e le alternative che si potrebbero mettere in campo. I lavoratori infatti si sono trovati tra le mani un’ipotesi seria di riconversione ambientale che permetterebbe a diversi di loro di tornare occupati e ai cittadini di Mantova di riappropriarsi dell’ambiente. Negli ultimi mesi il nostro collettivo ha insistito sul tema delle fabbriche recuperate. Non si è trattato solamente di solidarizzare con l’esperienza milanese di Ri-Maflow, il più avanzato esperimento nazionale di occupazione e recupero della produzione da parte dei lavoratori (in rete con altre esperienze internazionali su workerscontrol.net), ma anche di ragionare di una strategia di lotta che sembra dare qualche frutto. Per quanto siamo consci della distanza tra queste esperienze e le officine Putilov di San Pietroburgo (…e per fortuna), la riappropriazione del lavoro ci sembra in diversi casi l’unica soluzione per vincere e non tornare a casa con la cassa integrazione e qualche promessa. Mancando la forza sinergica del movimento operaio, riappropriarsi del lavoro può essere un primo passo non solo per cambiare la concezione del lavoro, ma anche per riconoscersi e ottenere dei risultati di fronte la burocratizzazione e l’indebolimento dei sindacati nelle vertenze. Se la giustificazione dei capitalisti è quella dell’opportunità di delocalizzare il lavoro dove costa meno, o scorpolarlo in cooperative esternalizzate, riprendersi il proprio luogo di lavoro e prodursi un reddito può essere una risposta sensata. Generata non tanto dallo spirito rivoluzionario, quanto dalla ricerca di alternative ad un sistema capitalista che sempre più fatica a nascondere la sua logica distruttiva, impattando i territori e le vite delle persone come se fossero materiali “usa e getta” con cui produrre profitto. I lavoratori della IES non devono essere lasciati soli in questo anno che li porta alla fine della cassa integrazione, ma andrebbero appoggiati con una rete dal basso che supporti questo tipo di riconversione ecologica. Il rischio è quello di lasciarli nelle mani del prossimo miglior offerente e di perdere l’ennesima occasione di riprendersi i laghi e le sponde e far partire le bonifiche delle falde e dei terreni.
Come inizia la crisi nel settore degli idrocarburi e come si collega con
la notizia del disinvestimento del gruppo IES-Mol sulla raffineria di
Mantova (ovvero dall’attività di raffinazione a quella di semplice
deposito di petrolio e derivati)?
Abbiamo sempre pensato ad una raffineria i cui padroni di maggioranza e di minoranza degli ultimi vent’anni Mario Contini e Adolfo Vannucci , figure legate al territorio, potessero garantire da sole una controparte con cui confrontarsi.
Passando invece al un gruppo multinazionale di origine ungherese (MOL) ovviamente ti trovavi con un grande gruppo, con grandi comparti e una struttura molto complessa (tipo l’ENI italiana). Questa grande potenza si pensava potesse far fronte agli investimenti per rinnovare la raffineria, ma ci siamo accorti con il tempo che non è stato così.
Non è sempre corretta la relazione ideale in cui chi ha più soldi, metta più impegno e risorse su un investimento e rispetto per la responsabilità sociale dell’impresa su un territorio. Anzi tante volte è l’esatto contrario e le multinazionali estere che si insidiano sui nostri territori lo hanno sempre dimostrato.
Abbiamo conosciuto una crisi improvvisa, nel senso che erano preannunciate contrazioni
nel settore della raffinazione un po’ in Europa, e quindi in Italia , ma queste non giustificavano da sole il fatto che dovesse chiudere in maniera così repentina e massiccia dappertutto.
O almeno, potremmo dire che di fronte ad una contrazione del fossile, della raffinazione tradizionale, a beneficio di altre tecnologie dell’energia rinnovabile, si poteva benissimo immaginare un sistema di riconversione. Cosa che di fatto non è mai avvenuta.
Un grande gruppo che può vedere avanti negli anni, non può aver considerato che cinque anni prima avesse acquistato una raffineria a Mantova che (costatagli centinaia di milioni di euro) senza avere soluzioni alternative o una pianificazione che potesse durare nel tempo con un progetto di riconversione della raffinazione tradizionale.
Ci hanno dato in modo improvviso la notizia della chiusura ormai più di un anno fa. Solo pochi mesi prima ci avevano comunicato che erano pronti a fare degli investimenti sul territorio. Pensavamo di poterci fidare di un grande capitale che invece si è rivelato un gigante con i piedi d’argilla.
Il settore del petrolio sembrava essere indistruttibile e coperto dai pericoli di mercato e invece ci siamo accorti che con una mancanza di un piano energetico nazionale (mancanza che c’è da sempre nel nostro paese), si trova una desertificazione sociale e la disoccupazione.
È un territorio abbandonato perché la raffineria lascia soli i lavoratori e le loro famiglie, ma anche un ambiente inquinato, un territorio che deve essere bonificato poiché è già a credito di salute e benessere. Il rischio serio e’ che poi possa essere abbandonato, in quanto sappiamo benissimo che un polo industriale, una volta dismesso, si trova a non avere i fondi necessari per affrontare le bonifiche. Quindi,paradossalmente, una raffineria in attività ha più soldi per rendere operativo un piano di bonifiche. Se chiudi, è chiaro che nell’abbandono succede come è successo alla Tamoil di Cremona dove, dopo aver chiuso, i materiali pericolosi sono rimasti tutti lì per parecchi anni.
É sicuramente vero che senza la raffineria in attività la città di Mantova è meno investita dall’inquinamento, ma se non si inquina qua, si distribuiscono gli impianti di raffinazione nel sud del mondo. E qui apriamo un altro capito, il fracking americano, l’olio di palma, la deforestazione per il food. Togliamo il food per fare noi le rinnovabili e quindi togliamo gli alimenti alle persone per poi dopo creare energia e questo crea una contraddizione sopra l’altra.
Alla fine noi, che ci troviamo sbattuti fuori dal mondo del lavoro, dobbiamo assistere anche al dramma delle persone che perdono il lavoro con conseguenze gravi dal punto di vista psicologico. A tal proposito abbiamo fatto diverse iniziative su questo asse di intervento, grazie ad una Associazione no-profit di Firenze che si chiama ILEX che nella mensa occupata della Cartiera Burgo ha attivato gruppo d’ascolto per i lavoratori licenziati; laddove si potessero ritrovare quei lavoratori che mostravano i sintomi della depressione, della rabbia e della desolazione.
Sintomi di persone che non volevano credere di aver perso il lavoro e rimuovevano, dicevano “vedrete che domani arrivano i camion a caricare” oppure “maddai sarà una crisi passeggera”.
L’incredulità e la rimozione sono sfociate nella depressione, ci sono state pure delle separazioni familiari che abbiamo dovuto gestire.
Abbiamo anche lanciato l’iniziativa dei post-it, erano bigliettini di sofferenza che venivano attaccati nei punti strategici della città in modo da dare valore al nostro dolore, facendolo uscire dalle mura
familiari. Diventava così un dolore pubblico e condiviso. Abbiamo, cosi’ fatto esperienza anche di quegli strumenti dell’assistenza diretta che si formano nella fasi di crisi e depressione economica.
La IES, seguendo una logica spartitoria basata su produzioni e prezzi con altre multinazionali del petrolio oltre il Confine Nazionale ha dismesso la raffinazione a Mantova.
Ma non si è stati in grado di costruire un programma anche dopo la chiusura, capace di mettere in piedi un piano industriale che prevedesse la costruzione di qualche altra iniziativa,come ad esempio bio-raffinazione, biocarburanti da bio-masse, joint venture di trading petrolifero ed energie alternative.
Qual è stata l’ultima affermazione di IES-MOL, semplicemente il fatto di tenere la raffineria di Mantova come deposito o c’è qualcos’altro?
MOL ha dichiarato all’improvviso “basta, stop alla raffinazione”, da 400 persone diventerete 80 e manterremo a Mantova un polo logistico. Importeremo da Marghera attraverso la pipeline il prodotto finito (prodotto e raffinato all’estero con i sistemi americani). Si stoccherà in 5 nostri serbatoi e poi verrà rivenduto, quindi con margini ridotti e minore rischio.
Quindi dalla situazione individuata dall’azienda non ci si è mossi
nonostante le proteste?
No. Ciò è potuto accadere anche per i ritardi cittadini, che hanno contribuito a trasformare Mantova da città in pieno sviluppo e tra le città più ricche d’Italia, alla provincia con la maggiore percentuale di disoccupati della Lombardia. Quindi siamo precipitati.
Ancora adesso l’azienda non vuole, non c’è la volontà di fare imprenditoria e di diversificare la produzione. La RSU inoltre si è trovata in una situazione contraddittoria e paradossale di dover fare lei una proposta che vada nella direzione delle nuove filiere produttive e che superino le catene di produzione tradizionale.
Questa proposta andrebbe ad inserirsi nelle linee d’azione che le istituzioni europee dettano rispetto alla riconversione della raffinazione tradizionale.
La nostra società, la MOL, ha incaricato un’altra società che si chiama Sofit BPI che sta lavorando per riassorbire la manodopera nel territorio mantovano, finora senza risultati.
Il biocarburante di terza generazione, produzioni di biocarburanti e combustibili da biomasse, produzione di gas da biomassa, featuring remediation e riqualificazione delle aree, attività legate a culture idroponica (quella portata avanti dai lavoratori) e insediamento di un campo solare fotovoltaico, queste erano le azioni che si potevano sviluppare sul territorio, una volta trovato un investimento, per rilanciare il polo industriale !
Ma dietro non vediamo nulla! Mentre anche il biodisel, nonostante abbia quote ancora basse in Italia, che potrebbero essere aumentate per affiancarlo alle benzina; lo sta già facendo la raffineria di Venezia, anche se la nuova produzione sembrerebbe più garantita dai Fondi Europei che non dettata da una convinta idea di riconversione.
L’apertura di centrali a biomasse ha però forti contraddizioni rispetto la concezione di una produzione agricola indirizzata non a produrre cibo, ma carburanti.
Certo,paesi come Austria e Germania, questi fondi europei li prendono e noi comperiamo da loro i prodotti.
Noi, provocatoriamente, abbiamo portato al tavolo delle trattative il progetto “AGRO THERME” che è stato proposto alla R.S.U. della Raffineria da un ex direttore , un grande progettista, che aveva studiato altri progetti di riconversione delle raffinerie. Non solo la coltivazione idroponica, ma anche per alghe e fotovoltaico.
Questa persona, ci sta aiutando attraverso la progettazione delle serre Idroponiche appunto che lui stava già promuovendo sul territorio nazionale.
Abbiamo, successivamente chiesto all’azienda se era disposta a concedere parte del terreno ( che si affaccia su uno dei laghi che circondano Mantova) 170mila metri quadri per fare le serre di coltivazione di lattughino di quarta gamma. Significa che tutte le culture di serra sono di seconda gamma; in pratica fanno l’inseminazione, la coltivazione e poi il trasferimento del prodotto ad un impianto di impacchettamento.
Nel nostro progetto invece c’è un ciclo a freddo dove si semina, il prodotto cresce, viene tagliato e impacchettato e spedito in brevissimo tempo via aereo, treno o autostrada,proprio come fanno le grandi società che sono attive sui mercati internazionali della verdura.
Ma voi chiederete “tutto ciò su un terreno inquinato?”.
No perché lo faremo vicino alla corte ex Bassani che è un terreno fuori dalla raffineria e uindi dal SIN (sito di interesse nazionale). Inoltre, la coltivazione avverebbe su bancali sollevati da terra. Questi bancali scorrono a seconda della varie fasi del processo produttivo.
Il vantaggio è che il prodotto non si deteriora in quanto immediatamente impacchettato, non ha inquinamento da trasporto poiché l’autostrada e l’ aeroporto di Villafranca sono vicinissimi e avrebbe tutti i vantaggi dell’accorciamento dei cicli della coltivazione.
Non seguirà un ciclo naturale, ma sarà massificato.
Questo progetto occuperebbe 92 persone e sarebbe (nell’elenco della società assunta da IES per le proposte di ricollocamento) quello che occupa il maggior numero della precedente forza lavoro.
É stata una grande soddisfazione aver pensato noi alla migliore soluzione, allorché abbiamo detto a Confindustria “ci stiamo invertendo i ruoli o sbaglio? Stiamo facendo noi i datori di lavoro!”.
Adesso il rischio è di fare la cooperativa dopo aver visto che queste ultime vengono subappaltate e subiscono le leggi del mercato senza aver più nulla dello spirito originario. Ormai negli statuti cooperativistici possono metterci n mezzo di tutto. Se facessimo così, i primi ad andare in malora sarebbero gli operai stessi poiché dovremmo metterci noi i soldi e il rischio di impresa.
Sono quindi contrario alla forma cooperativistica, non siamo stati noi a chiudere la fabbrica!
Vorremmo piuttosto che ci sia un interessamento di qualche imprenditore per il nostro progetto. Sempre che la IES sia disposta a prestargli l’area in comodato d’uso per almeno una ventina d’anni. Può essere anche una compagnia imprenditoriale grossa come lega coop. O imprenditori del melone del mantovano, dove si trovano persone in gamba.
Ci siamo fatti aiutare anche dall’assessore all’agricoltura della Provincia Maurizio Castelli,che è stato mio professore di Estimo ai Geometri e adesso vediamo come va a finire. La mia impressione è che dovremo aspettare le prossime elezioni comunali, prima di avere notizie certe sul futuro di IES e dei suoi Lavoratori.
La Provincia allo stesso tempo ha provato a formulare dei progetti in linea con le sovvenzioni europee…
Addirittura c’è uno studio che riguarda la canna fluviale che contiene
molto zucchero e con lo zucchero si produce energia.
Si è vero che è dichiarata infestante…Mi riferisco alle lamentele dei contadini dei territori in cui sono sorti impianti a biomasse, costretti a chiudere le aziende agricole da mercato per produrre materiale da bruciare per produrre energia…
A noi sembra che la migliore ipotesi per la città sia la vostra, sotto tutti i punti di vista, dall’inquinamento prodotto al recupero occupazionale. Mentre gli enti pubblici e privati sembrano giostrare le altre proposte per provare ad avere un ritorno. Magari non direttamente.
Quindi i lavoratori della raffineria sono stati l’istituzione più lungimirante…robe da mat (ironico)…
Il rischio della centrale a biomasse, oltre agli aspetti ambientali, è che finiti i fondi europei ti ritrovi il problema di una rovina industriale da bonificare.
La lattuga invece si mangerà anche fra sette anni. L’investimento poi è relativamente modesto in quanto si aggira intorno ai 16 milioni, a fronte d centinaia di milioni di buco che ha fatto IES/MOL per comprare un raffineria e dopo qualche anno dismetterla.
Cosa sono 16 milioni per una multinazionale degli idrocarburi?
Ma il loro obiettivo è aumentare la distribuzione di idrocarburi nel mercato italiano?
A Marghera c’è il polo logistico dell’ENI,con la raffineria che si è riconvertita facendo biodisel. A Marghera c’è anche un deposito piccolino dove le navi scaricavano il petrolio, quello è di IES.
Adesso le navi con il prodotto già finito scaricano in serbatoi ENI e da lì inviati al Deposito IES, il quale pompa tramite Oleodotto il prodotto finito a Mnatova. La abbiamo sempre del personale finchè non arriverà magari un domani lo scarico automatico. Serve solo per scaricare le navi e spedire il materiale fino a Mantova. Poi a Marghera c’è tutto un polo chimico dell’ENI oltre alla Raffineria che raffina l’olio di palma.
E la raffinazione dove si è spostata?
Il mercato asiatico soprattutto Cina e India, ma anche tanta America.
Gli Stati Uniti, con i nuovi sistemi di fracking stanno estraendo talmente tanto petrolio che non sanno più dove metterlo.
Pensa che loro erano un grande paese importatore e nel giro di 4 anni sono diventati esportatori.
Allo stesso tempo sfruttano gli accordi commerciali come quello del TTIP (se si concretizzerà) e sono avanti anche nel settore delle rinnovabili dove beneficiano di un’immensa estensione territoriale e dove si possono contenere o nascondere più facilmente alcune conseguenze ambientali dell’inquinamento.
Ma come mai stanno chiudendo così tanti poli di raffinazione in Italia? Qual è la tendenza?
La raffineria di Mantova non è l’unica, era piccolina, ma ben
posizionata a livello logistico.
Però è stata chiusa probabilmente perché si è deciso di salvarne altre, come quelle dell’ENI ad esempio e farne morire altre, attraverso meccanismi commerciali non sempre chiari.
L’ennesima contraddizione è che mentre si chiudono le raffinerie, il
Governo, che possiede Azioni della maggiore Compagnia Petrolifera Italiana, l’ENI,attraverso lo Sblocca Italia rischierebbe di riprende la campagna di perforazione per la ricerca di petrolio e gas metano sui litorali Adriatici e del Mediterraneo giù in Sicilia, per non parlare della Val D’Agri in Basilicata.
E dopo succedono gli smottamenti . Si giustificano dicendo che se non lo facciamo noi lo faranno altri paesi. Per esempio, arrivano delle navi dal Nord Europa a battere i fondali dell’Adriatico che fanno scappare i pesci fin giù in Sicilia.
Nel tirreno invece abbiamo spagnoli e norvegesi, questi ultimi molto
attivi ovunque.
É molto interessante questa lente che permette di passare dalla piccola Mantova alle ricadute internazionali…
Il Governo, che ripeto,essendo compartecipe in quote ( oltre il 30%) con L’ENI, in qualità di Garante e Responsabile Sociale di chiusure produttive con ricadute occupazionali, magari per interposta persona
avrebbe dovuto intervenire in questa partita Mantovana dai risvolti occupazionali drammatici
Questo lo abbiamo detto chiaramente al ministero dello sviluppo economico durante gli accordi sulla mobilità , poiché ENI ha diverse azioni possedute dallo Stato. . .Alla fin fine siamo ostaggio non solo delle multinazionali, ma esiste anche un governo che non sa decidere del proprio piano energetico.
Basta vedere il reddito di Scaroni (AD di ENI) per farsi un’idea.
Se si segue ciò che succede in Val d’Agri, in Basilicata ci si rende conto delle linee politiche energetiche e delle sue ricadute sul territorio. Qui hanno trovato uno dei giacimenti più importanti d’Europa e hanno deturpato le zone circostanti, c’è stato un dumping sociale dato da un’ostilità con gli abitanti di quel territorio che non hanno visto la minima forma di restituzione collettiva.
A noi sembra che la parola pianificazione manchi alla politica economica di oggi.
Noi manchiamo di un piano energetico non perché non siamo capaci di farlo, ma perché non l’hanno voluto. Perché se conosci le tendenze di un certo piano energetico ti devi muovere in base a quello. Invece il mondo del petrolio, purtroppo, subisce dei capovolgimenti di fronte improvvisi che non permettono una pianificazione; in più sono davvero in pochi che decidono. Questo non va bene perché le ricadute sui territori sono sociali e ambientali….e quindi di tutti!.
L’idea di riconversione nasce nel 2004 quando la proprietà Vanucci-Contini vede una crisi del settore petrolifero e si prepara per sfruttare il terreno attorno alla raffineria di proprietà di quest’ultima.
E da lì avevano elaborato una serie di alternative dal fotovoltaico alle alghe per produrre energia; orti dove potrebbero lavorare anche soggetti con disabilità o problemi di marginalità, in modo da realizzare un progetto di agricoltura sociale.
Poi, non se ne è più fatto niente, avranno pensato altre strade finché ce n’erano e poi vendere (a IES/MOL) dato che c’erano troppi investimenti da fare e movimenti ambientalisti che faticavano ad immaginare alternative alla chiusura tout court.
Questo progetto sta in piedi da solo.
Sarebbe il primo su scala nazionale?
Di quarta gamma farebbe concorrenza alle culture del sud dove ci sono tante serre, ma senza impacchettamento diretto che avviene il più delle volte al nord. Con tutte le conseguenze del caso rispetto
all’inquinamento dato dai trasporti e al deterioramento della merce.
La cassaintegrazione quando finisce?
Il primo aprile 2016 dopo due anni
Scadenze per l’approvazione del progetto?
Questo lo sta visionando la società incaricata dalla IES di valutare i progetti alternativi. E questa è una spesa, come i corsi formativi della regione, che hanno ricollocato zero persone. Allora abbiamo detto al responsabile regionale del ministero “cosa stiamo facendo?”.
L’unico che da risposte al lavoro è il lavoro stesso.
Si tratta di un progetto di riconversione quindi che è in mano ad una società. In base a cosa lo sta valutando?
Fattibilità e finanziamento…. Ma il problema è che dietro alle buone intenzioni di facciata sui progetti alternativi c’è poco e nulla. Ad oggi l’unico progetto fattibile è quello proposto dai lavoratori.
Come si vorrebbe strutturare il discorso della cooperativa?
Eh, metterebbero fuori i soldi i lavoratori… Io rispedirei la proposta al mittente…io non vado da dei lavoratori lasciati a casa a chiedergli i soldi.
Basti pensare che al ministero ora ci sono 150 tavoli di crisi. Cosa facciamo tirare fuori i soldi ai lavoratori?