Eni dal 2008 è sponsor di Festivaletteratura: è legge del mercato cercare finanziamenti a iniziative di tanta risonanza internazionale.
Ma Eni sponsorizza direttamente iniziative e mostre sull’Africa e questo non può però lasciare tranquille le coscienze dei cittadini e delle cittadine, italiani e migranti, che ogni giorno si battono contro i pregiudizi, le discriminazioni, le persecuzioni mediatiche che colpiscono le persone che dall’Africa sono costrette ad andarsene a causa dei disastri ambientali, della corruzione, della violenza fatta sistema, dei lasciti del colonialismo, guerre comprese.
Sarebbe interessante che Eni raccontasse al pubblico del festival come risponde alle inchieste internazionali di magistrati, giornalisti, studiosi dell’ambiente, attivisti dei diritti umani, magari avendoli come interlocutori diretti. Ma sarebbe un dibattito troppo lungo e complesso.
Il grande scrittore nigeriano Ken Saro Wiwa fu condannato a morte dal governo del suo paese nel 1995, insieme a otto altri attivisti, per la sua incessante lotta contro la devastazione del Delta del Niger causata dalla Shell. A più di vent’anni di distanza la situazione non è cambiata: terreno, fiumi e acqua sono tanto contaminati che è quasi impossibile praticare l’agricoltura e la pesca, da sempre mezzi di sostentamento della popolazione. Le conseguenze sono evidenti: disoccupazione e disperazione, specialmente tra i giovani, esodo di massa, tasso di criminalità elevato e prostituzione forzata. In Nigeria non si prevede la fine di questo orrore ecologico. Nel ’95 Saro Wiwa combattè contro la Shell, oggi Eni è una delle principali multinazionali del petrolio in Nigeria; dai suoi impianti nel solo 2014 ci sono state 550 fuoriuscite di greggio. Più che da quelli di Shell. Amnesty International ha ritenuto “del tutto inattendibili le dichiarazioni Eni secondo cui gli sversamenti sarebbero l’effetto di sabotaggi e furti”. Inoltre Eni è stata protagonista, indagata dalla magistratura, per tangenti a esponenti di governi corrotti che garantivano diritti estrattivi. Situazioni analoghe sono denunciate per Congo Brazzaville, Kenya, Mozambico, Ghana e Angola. Mentre altri paesi africani, come il Senegal, stanno stipulando accordi al ribasso per lo sfruttamento degli idrocarburi recentemente scoperti nel paese.
Oltre a questo va ricordata la forte presenza di Eni in Libia, dove, secondo il Wall Street Journal, Eni si è assicurata “accordi” con milizie rivali fra loro che le consentono di operare in siti insicuri.
Sempre in Libia la società Mellitah Oil and Gas (joint venture fra Eni e la compagnia petrolifera nazionale libica Noc) che gestisce il terminal petrolifero di Mellitah, a Ovest di Tripoli, ha siglato un accordo riservato di protezione esterna dell’impianto con la principale milizia di Sabrata, il Battaglione Anas Dabbashi. Questa milizia comandata da Ahmed Dabbashi (detto ‘lo Zio’), oltre a trafficare in armi, contrabbandare greggio in Sicilia in accordo con Cosa Nostra e coltivare rapporti con l’Isis, ha il suo business principale nel traffico dei migranti. A raccontarci le conseguenze di questi accordi sono molti richiedenti asilo che arrivano sul nostro territorio. Per Gabriele Iacovino, analista del Centro di studi internazionali (Cesi) esperto di Libia, “in un Paese diviso in potentati locali spesso coinvolti in attività criminali è inevitabile che un’azienda che ha interessi da proteggere debba scendere a compromessi con chi ha il coltello dalla parte del manico. Lo stesso vale se si danno soldi e mezzi alla Guardia costiera, che risponde a quegli stessi clan e milizie locali.”
A chi dice “aiutiamoli a casa loro” chiediamo di riflettere sulle ‘nostre’ responsabilità nella distruzione di un continente che è stato ed è letteralmente invaso e devastato dall’economia e dalla politica delle potenze mondiali, Europa in primo luogo. Che ognuno si prenda le proprie responsabilità e non si lavi la coscienza salvando la propria immagine con la Cultura.
A cura di Rete Antirazzista Mantova