IL PENNONE DI RONCOFERRARO VA TRASFORMATO IN MONUMENTO PER LE VITTIME DEL COLONIALISMO
Tiene banco in questi giorni il dibattito sul restauro del pennone presente a Roncoferraro, in onore delle imprese coloniali del regime fascista in Etiopia. L’assessore alla cultura del comune è il nostalgico Roberto Archi, già preside della scuola media Leon Battista Alberti e promotore della borsa di studio per Ferruccio Spadini, comandante mantovano della guardia repubblichina, che organizzava e dirigeva i rastrellamenti e consegnava i partigiani ai nazisti.I politici intervenuti a sostegno dell’operazione di restauro e ripristino – da Italia Viva alla destra nostalgica del terzo reich – insistono sul valore storico del pennone.
Il punto è che la storia non è mai neutra, non è un dato di fatto immutabile, bensì un prodotto della narrazione di chi ha l’egemonia culturale e politica in un dato contesto. Nel nostro paese abbiamo ben impressa l’eredità fascista: nella gerarchia nonnista di esercito e questure, nei codici penali che hanno conservato le peggiori leggi repressive del regime e nel passato coloniale e razzista del nostro paese, rimosso dall’ “italiani brava gente”.Mentre qui si restaurano monumenti fascisti, dall’altra parte dell’oceano vediamo moltitudini di giovani americani contestare e a volte distruggere le statue degli schiavisti in tante città: anche quelle sono il prodotto della narrazione storica di chi ha vinto, oppresso, sterminato.
A nostro avviso, un movimento reale di giovani migranti di prima e seconda generazione, che vive sulla propria pelle il razzismo istituzionale del nostro paese, poggiato tra le altre cose sulla rimozione del passato coloniale, avrebbe tutto il diritto di abbattere quel monumento, costruito in memoria di un’Etiopia invasa e devastata, delle donne stuprate dai soldati italiani e degli etiopi asfissiati dalle armi chimiche. È un monumento da trasformare, per ricordare che gli italiani non sono stati “brava gente”, perchè costruivano campi di concentramento e appendevano alle strade i cadaveri dei libici che si permettevano di ribellarsi.Quel pennone coloniale non va restaurato: va cambiato per rispetto e solidarietà a chi vive oggi sulla propria pelle un razzismo istituzionale che lo blocca in mare, lo rinchiude senza giusta causa, lo schiavizza nei campi e lo sfrutta in tutti i luoghi di lavoro.