Speculazione e diritto alla città: un focus sul caso Migliaretto.
In occasione del Climate Strike 2021 promosso da Fridays For future, pubblichiamo un approfondimento sulla vicenda del Migliaretto, area verde della periferia sud di Mantova, da anni al centro di tentativi di speculazione e cementificazione.
Il consumo del suolo o cementificazione è una delle attività di trasformazione del territorio che comporta maggiori rischi per l’ambiente. Non si tratta solamente del suolo e degli inquinanti che questo può immagazzinare, ma coinvolge anche gli equilibri idro-geologici di un ecosistema e i conseguenti rischi di frane ed allagamenti. La Lombardia guida la classifica della cementificazione italiana: il territorio regionale costruito è del 15%, contro una media nazionale intorno al 7%. Tra il 2012 e il 2015 i lombardi hanno visto scomparire 1000 ettari di territorio all’anno a causa di processi di urbanizzazione speculativi e abbandono.
La cementificazione però disegna il territorio che viviamo e in questo processo modifica il nostro modo di vivere lo spazio e attraversarlo (basti pensare alla questione del diritto alla mobilità e al traffico). Il cambio di destinazione d’uso dei terreni è stato uno dei modi con cui i Comuni hanno provato a fare cassa, di conseguenza il consumo del suolo si lega al diritto alla città: al costo delle case, alla composizione del mercato immobiliare, al dove fare la spesa e alle strade per arrivarci. Tutto questo ha ulteriori conseguenze non solo sullo stato di salute di un territorio, ma coinvolge la sfera delle relazioni che si possono costruire in uno spazio urbano e il significato che le persone danno ai luoghi che vivono e di conseguenza al modo di viverli: sia nel senso di un consumismo passivo, che nella riappropriazione attiva e sociale degli spazi. Buona lettura!
Acque, terre e fortificazioni: lo sviluppo urbano di Mantova
La città di Mantova è circondata da tre laghi artificiali, ricavati nel fiume Mincio e creati dall’ingegner Pitentino nel 1190, per evitare inondazioni e impaludamenti e permettere una migliore navigazione del corso d’acqua.
A sud-ovest un quarto lago, il Paiolo, fu interrato nell’ambito delle opere di fortificazione e bonifica che interessarono la città a partire dalla fine del ‘700, nel corso del dominio Austro-ungarico inframmezzato da una significativa parentesi napoleonica.
Più avanti nel corso della storia, tra il XVIII e il XIX secolo, il Nord-Italia sarebbe diventato teatro di molteplici e ripetuti scontri bellici, e la posizione di Mantova la rendeva strategica per essere facilmente trasformata in una fortezza fluviale. Ma l’esigenza di rendere più sicuro e salubre il confine sud della città, maggiormente esposto ad attacchi militari e molto paludoso, era nota fin dal ‘500, in epoca gonzaghesca.
A tal fine, tra il 1775 e il 1880 viene realizzata la valle del Paiolo, un’immensa area verde prosciugata dal lago e tagliata da un canale che si ricongiunge a sud-est con il Mincio. Chi progetta l’opera si riserva la possibilità di allagare nuovamente l’area in caso di necessità difensive, in modo da rendere il lato sud della città inespugnabile. Più internamente, all’inizio dell’Ottocento viene realizzata una fortificazione denominata “Campo Trincerato”, che include campi agricoli e spazi per le esercitazioni militari. All’interno di questa, a difesa del confine sud-est di Mantova dove sorge la diga del comandante austro-ungarico Wallsegg (che dà il nome al quartiere Valletta Valsecchi), fu costruito il campo trincerato del Migliaretto.
Questa brevissima introduzione storica è utile a tratteggiare l’evoluzione urbanistica della città di Mantova – di cui la fascia sud rappresenta ancora un polmone libero dalla cementificazione – e la sensibile relazione tra acqua e terra nel nostro territorio. Inserire un’annotazione storica nella redazione di un testo critico sugli ipotetici futuri sviluppi urbanistici dell’area compresa tra Migliaretto e Trincerone non è un vezzo da accademici, ma la chiave per capire che ogni territorio viene agito e modificato in base alle necessità politiche e alle fasi economiche contingenti.
Tornando alla Storia, infatti, diventa intuitivo comprendere che la “mezzaluna difensiva” costruita da Austriaci e Napoleonici nella zona a sud di Mantova non era solamente il confine della città, bensì costituiva la frontiera militarizzata di un Impero in lento ma progressivo disfacimento.
Che ne è di quell’area una volta che Mantova diventa pieno entroterra del Regno d’Italia? Mantova manterrà un suo specifico ruolo militare attraverso la presenza di diverse caserme all’interno delle sue mura fino alla Prima Guerra Mondiale: che farsene quindi di quell’immensa struttura difensiva?
Nei primi decenni del Novecento, la città vive come tante altre un nuovo processo di bonifiche e costruzione di reti fognarie, che da una parte migliora notevolmente le condizioni igieniche del territorio, ma dall’altra disgrega letteralmente i quartieri popolari del centro, lasciando tante famiglie senza casa. In questo contesto, negli anni del fascismo nasce il progetto “Case Popolarissime”: né più né meno che un ghetto per i poveri composto da case multifamiliari in mattoni forati e strade di fango. Il luogo ideale per costruirlo? Proprio quel confine sud della città ormai inutilizzato, appena oltre le mura che delimitavano il confine di Palazzo Te, poi trasformate in massicciata per la ferrovia. L’unico accesso alla città è rappresentato da un piccolo tunnel in cui si è obbligati a chinare il capo, che sbuca ancora oggi sul lato meridionale di palazzo Te.
Il quartiere, chiamato dal regime “Villaggio Ciano”, fu subito ribattezzato dalla popolazione col nome di “Tigrai”, come la regione tra Etiopia ed Eritrea appena colonizzata (e massacrata) dall’Italia fascista, stigmatizzando così la condizione di marginalità sociale ed economica a cui gli abitanti erano costretti.
Te Brunetti, come è chiamato oggi, non si è però mai fatto sopraffare dalle proprie sfavorevoli condizioni. Nel corso della sua storia, alla ghettizzazione forzata ha risposto con notevole spirito di solidarietà e capacità di autorganizzazione, per quanto un reale collegamento con la città sia arrivato solo nel 1977, con un sottopasso stradale a doppia corsia.
Al Tigro, chiamato “piccola Mosca” negli anni della Resistenza, le inadeguate case in mattoni forati vengono sostituite negli anni ’50 e ’60 grazie a un primo serio intervento di edilizia popolare, dopo anni di costanti sforzi da parte del comitato di quartiere per far arrivare i servizi minimi garantiti al resto del territorio.
Negli anni ’80 e ’90 nelle zone più a sud di Te Brunetti precedentemente abbandonate o ad uso agricolo, prende avvio un’espansione edilizia di carattere residenziale monofamiliare spiccatamente destinata alle classi medie.
Contemporaneamente, sui quattro comuni che circondano la città si abbatte una pioggia di cemento che si traduce in casette a schiera, ipermercati e zone commerciali, accostati senza alcuna logica urbanistica, ma motivati da interessi speculativi quando non direttamente mafiosi. È numerosa infatti la letteratura, non solo giudiziaria, che vede le famiglie della ‘ndrangheta crotonese attive nel settore delle costruzioni tra Mantova e Reggio Emilia a partire dagli anni ‘80:
“Vi è poi Antonio Muto, di origine cutrese, uno degli esponenti di maggior rilievo nel campo dell’imprenditoria edile mantovana. Mettendo a disposizione l’influenza del suo status e le relazioni personali costruite grazie alla sua attività, contribuisce al raggiungimento degli scopi del clan.”
Alla fine degli anni Zero, le «palazzine di lusso»che provavano ad avanzare da Te Brunetti verso il Trincerone vengono crivellate dai proiettili della crisi del 2008 e rimangono lì, ad aspettare di essere abbattute e sostituite da altro cemento. Poco più ad ovest, nella zona di fronte all’Ospedale Carlo Poma, la giunta Burchiellaro (1996-2004) aveva concesso all’impresa Bottoli una lottizzazione per costruire un quartiere da 110mila mq per mille abitanti, con centro commerciale e parcheggio sotterraneo, nella zona naturalistica e idrogeologicamente a rischio dell’ex Lago Paiolo. Nessuna giunta successiva si è messa di traverso, ma l’attivismo dei cittadini e la crisi immobiliare hanno fortunatamente bloccato definitivamente il progetto.
Il Migliaretto oggi
Da anni l’area del Migliaretto/Trincerone è zona di succulenta pesca per i costruttori e per una classe dirigente cittadina la cui unica dimensione pratica della politica sembra essere quella edilizia. L’intreccio tra questi due soggetti è efficacemente illustrato dall’esempio del Migliaretto: destinato a campo-volo fin dal Dopoguerra, e per di più esposto al pericolo di disastri chimici afferenti al polo industriale che sorge sull’altra sponda del Mincio, i politici hanno provato più volte a sdemanializzarlo per cambiarne la destinazione d’uso, fare cassa e concedere alla lobby dei costruttori nuovi terreni edificabili.
Fino ad ora la recessione del comparto edile e le iniziative di protesta da parte della cittadinanza hanno frenato la spinta a cementificare tale area, che copre complessivamente una zona dalle dimensioni assimilabili a Central Park, ed è rimasta praticamente immacolata negli ultimi 200 anni, conservando in tal modo numerose specificità naturalistiche. Durante l’ultima campagna elettorale, il tema è tornato alla ribalta grazie all’iniziativa e alla retorica del sindaco Palazzi, che tra le altre cose ha indetto una raccolta firme online per «restituire il migliaretto ai Mantovani».
Tutto ha inizio ad aprile 2020, quando giunge la notizia che l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile non considera più il Migliaretto tra gli aeroporti di interesse nazionale. Per questo motivo, la procedura di sdemanializzazione può essere avviata e l’area può tornare sotto il controllo cittadino senza più vincolo aeroportuale. Il sindaco Palazzi ne approfitta subito per lanciare non meglio precisati progetti di trasformazione dell’area in “bosco urbano”, inserendo la proposta nel già corposo faldone delle promesse elettorali.
Peccato che l’assessore regionale alle infrastrutture, la leghista Claudia Maria Terzi, blocchi l’iter in un gioco delle parti abbastanza ridicolo, dato che proprio la Lega Nord, insieme al centrodestra, si è resa protagonista delle principali devastazioni ambientali in Lombardia. Il ritmo del consumo del suolo nella nostra regione cresce da trent’anni al ritmo del 12% annuo, 5 punti in più della media italiana.
La motivazione ufficiale è quella di un vincolo datato 2005 ad utilizzare l’area per un elisoccorso collegato al vicino ospedale. Al PD cittadino non rimane così altro che imbastire la sopracitata raccolta firme, affastellandone tremila nei primi giorni di petizione per poi rallentare il ritmo, e rivendicandone la forza di incredibile esercizio di partecipazione dal basso. Per quanto non sia per nulla chiaro quale sia il progetto in corso di sviluppo, ossia cosa ci si voglia costruire, e nemmeno se il progetto si limiti al solo Migliaretto. Un esercizio di democrazia cieca che caratterizza il modello di partecipazione apprezzato dalla giunta Palazzi.
Cosa vogliono costruire e qual è l’area interessata?
Definita “un campo di patate” dall’attuale sindaco, l’area del Migliaretto comprende un’area recintata occupata da un campo d’erba di 27,4 ettari, ottenuto grazie agli sforzi dei volontari del campo-volo amatoriale che aveva sostituito la pista, chiusa ufficialmente nel 1972. L’area rimane sostanzialmente inutilizzata per anni, con ripetuti tentativi delle amministrazioni di riprenderne il controllo al fine di attuare i bellicosi progetti di speculazione edilizia.
Nel 1989 una mobilitazione formata da Democrazia Proletaria, dall’associazione Altro Spazio e dai collettivi Barricata, Centofiori e Punxs, da cui poi nascerà l’esperienza del Centro Sociale Alta Tensione e dell’omonimo collettivo, occupano gli hangar abbandonati della pista per due giorni di concerti, dopo un corteo che chiede più spazi di socialità per i giovani.
L’occupazione degli hangar abbandonati del Migliaretto è solo una delle tappe di un processo di occupazioni che il movimento dei centri sociali portava avanti a Mantova come in tutta Europa proprio contro l’abbandono di spazi e beni comuni e le conseguenti speculazioni edilizie, e per chiederne la restituzione alle comunità. Le immagini di quelle giornate assai significative per il movimento antagonista mantovano sono state anche utilizzate come giustificazione “storica” da parte di chi chiede la riqualificazione dell’area. Il problema è che non ci si preoccupa minimamente del rischio che il concetto di “riqualificazione” venga sostituito con quello di “speculazione”. Basti pensare al 1998, quando il Migliaretto fu oggetto delle brame della prima giunta Burchiellaro, poi passata alla storia per l’incredibile piano di lottizzazioni realizzate durante i suoi due mandati, alcune delle quali bloccate per infiltrazioni mafiose.
Nei comunicati stampa sull’argomento possiamo inoltre notare che si tende a confondere l’area del Migliaretto con l’annessa area naturalistica del Trincerone/Lago Paiolo.
Nel primo annuncio ai giornali del 23 aprile 2020 si legge che «Palazzi presenterà un master plan: una cittadella dello sport al centro della foresta che va da Angeli alla Vallazza». Questa affermazione è esemplificativa del fatto che oltre al Migliaretto si intenda urbanizzare (o quantomeno intervenire su) tutta l’area verde esclusa dal Parco del Mincio. Sempre il sindaco annuncia che «entro 30 giorni manifesteremo il nostro interesse per ridare alla città, come abbiamo fatto per San Nicolò, un’area strategica per un nuovo disegno a sud di Mantova. La chiederemo per valorizzarla, presentando un master plan che ridisegni funzioni, fruibilità e infrastrutture di un comparto ben più ampio che vedrà al centro proprio il Migliaretto».
Rispetto al passato, i piani urbanistici di oggi si affidano molto di più alle dinamiche di “project financing” tipiche dei bandi europei o ministeriali. Ma questa modalità porta con sé la strutturale mancanza di visione a lungo termine sui progetti. In altre parole, è sempre forte il rischio che sia garantita l’attivazione di tali piani ma non il loro compimento. Se i finanziamenti si esauriscono a metà dell’opera, allo stesso modo i progetti si fermano. Se i progetti si fermano, la città si popola degli ormai proverbiali “magoni” che andranno demoliti e sostituiti con nuovi progetti tutti da finanziare, seguendo l’ormai trita e fasulla retorica della lotta al degrado urbano di cui parleremo in seguito.
Vogliamo ridare il Migliaretto ai mantovani! Ma per farci cosa?
In questo ultimo anno abbiamo avuta a che fare con un’ampia rosa di proposte sull’area del Migliaretto. Dai partiti radicali a quelli centristi o di destra, ognuno aveva una sua soluzione, tutti uniti dallo scopo di conquistare l’elettorato, facendo a gara nel trovare l’idea più sbalorditiva per le sorti di questo immenso prato alle porte della città. Ancora una volta, ci troviamo di fronte a una prassi politica che non si preoccupa di curare le relazioni e i rapporti all’interno della comunità o tra la comunità e il territorio in cui è situata, bensì si limita a trasformare lo spazio in cui le persone vivono.
Le proposte sul Migliaretto sono tante ma tutte nebulose, e le più nebulose fanno proprio capo alla maggioranza consiliare di Pd e alleati. Sono nebulose perché non è importante ciò che verrà costruito: è importante costruire.
Ma pure la proposta di costruire un “bosco urbano” è molto poco sensata: a Mantova le aree verdi attrezzate per le escursioni e le passeggiate già esistono, così come i boschetti da difendere dalle lottizzazioni, per non parlare degli edifici abbandonati da riqualificare per restituirli alla cittadinanza. Bisognerebbe operare investimenti non per creare ex novo un altro “bosco urbano” con tanto di vialetti e strutture artificiali, bensì per potenziare i parchi e i boschi già esistenti, aumentando i controlli e gli interventi per tutelare la salute degli alberi.
Non si prendono in considerazione due semplici principi in linea con le manifestazioni per la giustizia climatica ed ambientale: costruire e ristrutturare dove è già costruito; non cementificare su aree verdi.
Degrado VS Riqualificazione: le parole magiche per speculare
Prendiamo come esempio la lottizzazione del quartiere Borgonovo, dove sorge l’Arci Tom e dove sorgerà l’imminente palazzetto dello sport. Realizzata dalla “coop rossa” Unieco, la sua storia ci mostra come una serie di “magoni” abbandonati nel nulla, spesso neanche portati a termine e quindi fatiscenti, possano creare quelle condizioni di degrado che rendono necessario riqualificare l’area. Dove per riqualificare si intende costruire nuovamente, collocando in mezzo a quel vuoto un piccolo palazzetto dello sport rivendicato come grande opportunità ludica e sociale per il territorio, nonostante le perplessità ove non la diretta opposizione da parte degli abitanti del quartiere, mossi dal dubbio che questa nuova struttura sportiva sarà effettivamente messa al servizio della cittadinanza.
Per non parlare della vicenda dell’autorimessa privata costruita nel vicino Quartiere Due Pini, sempre da Unieco. Qui la storia è ancor più grottesca: nel 2004 l’esistente prato con campo da calcio pubblico e di libero accesso viene smantellato per costruire al suo posto un garage di tre piani in cemento armato, sovrastato da un nuovo campo da calcetto, anch’esso in cemento, vandalizzato e abbandonato dopo pochi mesi. Dei 110 posti auto in vendita nell’autorimessa, ne vengono acquistati solo due. Ora la struttura verrà demolita e sostituita con… un prato con campo da calcio pubblico e gratuito. E il Comune rivendica l’operazione come grande intervento di riqualificazione e restituzione alla cittadinanza di uno spazio pubblico. Tutto vero, peccato che quello spazio fosse già pubblico quindici anni fa, e che questo giro dell’oca sia costato centinaia di migliaia di euro – finite dalle casse comunali alle tasche dei costruttori edili – e qualcosa come duemilacinquecento metri cubi di cemento.
Funzionerà o no il palazzetto nel quartiere di Borgonovo? Aumenterà il diritto allo sport sul territorio? Ha funzionato l’autorimessa di Due Pini? Ha garantito un servizio utile agli abitanti o ai lavoratori del quartiere? Non importa! L’importante è costruire e far girare il denaro, se va male basta sollecitare la necessità di nuovo cemento attraverso la retorica del degrado e dei pericoli che ne conseguono.
Paure ed opportunità
Tra le motivazioni che sono state snocciolate per sottolineare l’importanza di riqualificare il Migliaretto, ce ne sono due a nostro avviso significative:
- la prima fa riferimento al campo nomadi (di cui la comunità sinta chiede il superamento da anni) e alle case di famiglie di origine sinta presenti nelle strade limitrofe al Migliaretto: in moltissime discussioni sui social network possiamo leggere che il bosco urbano, cosparso di telecamere, ci libererà dalla criminalità e dai sinti, che dovranno spostare altrove i loro traffici illeciti.
- la seconda invece si propone di aumentare le strutture sportive cittadine, poiché sulla strada che attraversa il Migliaretto hanno trovato sede negli anni il Tennis Club, il Campo Scuola per l’atletica (che ricorda una struttura sovietica degli anni ’80 tanto è vetusto), la pista da motocross e i campi del Rugby Mantova e della società calcistica Sant’Egidio-San Pio. Secondo questa idea, il Migliaretto si presta ad essere una cosiddetta “cittadella dello sport”.
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In quell’area, lasciata così come è ora, ci sono traffici illeciti, proprio perchè è periferica, non sorvegliata e praticamente abbandonata. Se venisse trasformata in parco, e spero trasformata quasi in bosco cittadino e dotata di telecamere, sicuramente sarebbe meno appetibile per i traffici illeciti. Speriamo che il progetto parco si realizzi e diventi un polmone verde per la città.
…Un bel parco senza Rom e per gli animali che vivono lì e sono da adottare…
Questi due assi seguono le coordinate che si ritrovano nella stragrande maggioranza delle moderne campagne di cementificazione, riqualificazione e gentrificazione (ossia il processo che mira ad aumentare il valore degli immobili di un’area urbana povera o comunque periferica). Da una parte la paura e il pericolo creati dal degrado o dalla mancanza di decoro, altra parola magica dietro cui si trincerano speculazioni edilizie e interventi repressivi; dall’altra le incredibili opportunità fornite dalla nuova costruzione o infrastruttura che viene proposta, progettata e/o realizzata (ve la ricordate la monorotaia dei Simpson?).
Non a caso, la fumosa ipotesi eco-bio del bosco urbano per il Migliaretto, palesatasi per raccogliere il maggior numero di consensi alla ormai famosa raccolta firme della scorsa estate, è stata preceduta fino ai primi di giugno da un altro progetto: spostare lo stadio cittadino dalla zona del Te all’area dell’ex campo-volo, corredandolo di cittadella dello sport, strutture ricettive, negozi e strade di accesso. Alla faccia del bosco urbano! Questa sì che sarebbe una soluzione in grado di portare soldi nelle casse del Comune e nelle tasche dei costruttori privati…
Insomma, delle due l’una. Telecamere e vialetti oppure strutture sportive e commerciali? Qualche che sia la preferenza, ciascuna scelta risponde ad un artificio retorico ben preciso: securitarismo e spinta al consumo.
Proposte ed elementi critici
Il punto è che il Migliaretto ha una posizione strategica per la città, e questo lo rende una potenziale e ricchissima preda per le speculazioni edilizie e le boutade elettorali.
A nostro avviso, la sua attuale destinazione d’uso e la sua collocazione nelle relative vicinanze del Pronto Soccorso dovrebbero prima di tutto aprire una riflessione sul renderlo una vera e operativa pista per l’elisoccorso (tuttora assente dall’Ospedale di Mantova).
Ciò detto, riteniamo che tanto il Migliaretto quanto la zona Trincerone/Lago Paiolo sarebbero ormai da considerare aree naturalistiche, e in quanto tali andrebbero preservate e da arricchite di flora e fauna autoctona, in modo da costituire un vero polmone verde per una città soffocata dall’inquinamento del polo petrolchimico poco distante. Andrebbe socializzata la conoscenza storica e naturalistica di queste terre, magari coordinando progetti di formazione per la valorizzazione, la sorveglianza e la salvaguardia dell’area da possibili depositi abusivi di rifiuti. In questo senso nella zona che va da Bosco Virgiliano al Trincerone sono già attivi progetti ed esperienze virtuose di cura e reinserimento della fauna, di percorsi eco-didattici e di orti biodinamici di comunità.
La questione dello stadio può essere comodamente affrontata seguendo il principio del migliorare l’esistente. Una ristrutturazione dello storico impianto “Danilo Martelli” – oltre a conservare la memoria storica di un luogo chiave della città, che è stato anche campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale – permetterebbe di intervenire ampliando lo spazio e migliorando la viabilità sul problematico lato della curva Cisa.
Riflettere e elaborare proposte sulla zona sud di Mantova deve però accompagnarsi ad un approccio critico e attento verso quella galassia di progetti e dichiarazioni afferenti alla cosiddetta Grande Mantova. Come abbiamo già accennato, i piani regolatori comunali degli ultimi quarant’anni e le conseguenti cementificazioni non hanno seguito alcun programma urbanistico che rafforzasse la coesione sociale del territorio né l’idea di una città eco-sostenibile, privilegiando invece interessi di investitori privati senza scrupoli quando non direttamente di organizzazioni di stampo mafioso. Senza regole comuni e senza un coordinamento amministrativo e di servizi tra Mantova e i quattro comuni limitrofi, il progetto della Grande Mantova rimane nelle mani del mercato dei terreni e del mattone. Nella pratica, questo si traduce nella corsa alla concessione di aree a ipermercati e punti vendita della Grande Distribuzione Organizzata, che negli ultimi decenni sono esponenzialmente aumentati, finendo per asfissiare il piccolo commercio.
Allo stesso modo, la mancanza di un corretto coordinamento tra le infrastrutture viabilistiche e l’espansione immobiliare di Cerese e Curtatone ha portato una città piccola e in pianura come la nostra ad essere costantemente congestionata dal traffico. In questo senso vanno potenziati i punti di accesso ciclabili alla città, investendo in una efficiente rete ciclabile che magari preveda anche punti a più corsie veloci sul modello danese. Andrebbe inoltre elaborato un piano per il potenziamento del trasporto pubblico: in primis aumentando le corse e gli investimenti, ma ci sono altre strade praticate con efficacia in città anche ben più grandi e centrali della nostra. Una di queste ipotesi, ambiziosa ma tutt’altro che impraticabile, è di rendere il trasporto pubblico locale interamente gratuito, sostituendo gli introiti di biglietti e abbonamenti con un piccolo prelievo fiscale per tutti i residenti nella Grande Mantova; ciò permetterebbe inoltre di liberare dal bilancio le spese per il controllo delle obliterazioni.
L’operazione Migliaretto, che è stata per buon tempovela maestra della campagna elettorale della coalizione per Palazzi sindaco, è rappresentative dunque di una coagulazione di temi molto emblematici, tanto nel merito quanto nel metodo:
- è la chiave per iniziare una campagna di cementificazione della zona sud della città (già avviata nella fascia sud-ovest in modo sconclusionato dall’amministrazione Burchiellaro, di cui faceva parte un giovane Palazzi), che finirebbe per arricchire pochi (e magari poco limpidi) soggetti privati, a discapito della tutela dell’ambiente, e senza preoccuparsi delle dannose conseguenze urbanistiche e sociali sul territorio;
- allo stesso modo, allargando l’obiettivo, rischia di essere un preoccupante segnale d’allarme sulla piega che potrebbe prendere il fumoso progetto della Grande Mantova: all’attuale stato dell’arte ci sembra l’ennesima prospettiva per una cementificazione senza logica delle aree verdi situate nei cinque comuni che ne fanno parte;
- il linguaggio utilizzato dall’amministrazione per sostenere questo progetto, nelle varie sfumature rappresentate dai partiti che sostengono la coalizione, è una fotografia di come opera il cosiddetto “capitalismo verde”, che verde non è che poiché alla sostanza preferisce la forma, e pur ammiccando ai movimenti per la giustizia climatica, non ha intenzione di fare nessun passo verso una revisione integrale dei paradigmi costruttivi in uso. Detta in altri termini: possiamo riciclare tutta la plastica che vogliamo, ma se continueremo a far colare cemento al posto di piantare alberi, non avremo risolto nulla.
Solo coniugando interventi strutturali su servizi, viabilità e trasporti, e contemporaneamente investendo nella tutela ambientale a partire dall’area Migliaretto-Trincerone-Paiolo, si può diminuire l’inquinamento, migliorare la qualità dell’aria e quindi della vita di tutte e tutti gli abitanti di Mantova.
Allo stesso modo e con gli stessi principi va affrontato ogni ragionamento sulla “bretella sud”, per indirizzare il trasporto pesante direttamente verso l’accesso all’autostrada di via Brennero e liberare le strade limitrofe ai quartieri popolari di Mantova Sud. Intervenendo sul tema, l’ex sindaco di Forza Italia Sodano e la destra locale hanno proposto di costruire un’ulteriore strada sul Migliaretto per snellire il traffico: esattamente quello che non andrebbe fatto, poiché questo tipo di proposta asseconda il modus operandi attuale, che non spezza il circolo vizioso tra un’espansione urbanistica senza logica ed ulteriori infrastrutture di cemento per risolvere i problemi da essa creati.
Ai progetti tanto ambiziosi quanto nebulosi preferiamo garanzie rispetto alla salvaguardia dell’ambiente e della nostra salute, già prepotentemente messi a rischio da livelli di inquinamento atmosferico folli. Le poche aree verdi che ancora resistono intorno alla nostra città vanno difese, tutelate e ampliate con piani precisi e puntuali.
Riempirsi la bocca di progetti fantasiosi (la cui messa in pratica peraltro dipende esclusivamente dal felice esito della partecipazione a bandi pubblici o privati) può fare gioco in campagna elettorale, ma certamente non è il modo più efficace di amministrare una città che ha un estremo bisogno di cambiare passo soprattutto nell’ambito della tutela dell’ambiente e della salute.
Non è “riqualificando” il Migliaretto o la valle del Paiolo con il cemento che miglioreremo la qualità della nostra vita né garantiremo a tutte e tutti casa, salute e lavoro. Per ottenere ciò, in primis bisogna volerlo, e subito dopo occorre ripensare la città in termini nuovi, ugualitari e slegati dagli interessi di pochi.
Link utili
Raccolta firme
Comitato Migliaretto Verde
23 aprile
24 aprile
6 giugno
15 giugno
17 giugno
20 giugno
25 giugno
21 giugno
22 giugno
27 giugno
30 giugno
1 luglio