Il surreale rito dell’elezione del Presidente della Repubblica di questi giorni – al di là del suo esito – è stato l’ennesima dimostrazione della distanza siderale che separa i palazzi della politica dalla vita reale del Paese. E non potrebbe essere altrimenti: il Parlamento è sempre meno una camera di discussione,
scavalcata dai decreti legge, ed è composto da membri le cui posizioni sono in buona parte fedeli alle politiche economiche neoliberiste.
Ma se come “popolo” non abbiamo voce in capitolo sulle scelte politiche prese dall’alto, ciò non significa che tali scelte non abbiano ricadute sulle nostre vite. Anzi.
Presentato a novembre, il “DDL Concorrenza” sollecita i Comuni a privilegiare il mercato quale via prioritaria per la gestione dei servizi locali. I Comuni che non seguiranno questa strada dovranno giustificare all’Antitrust per quale motivo non hanno deciso di privatizzare la gestione di tali servizi.
Sono passati dieci anni da quando Draghi, all’epoca presidente dalla Banca d’Italia, insieme al presidente della BCE Jean Claude Trichet, scrisse al governo italiano sollecitandone le liberalizzazioni e l’avvio una campagna di privatizzazioni su larga scala. Rendere profittevoli i beni comuni che ci servono per vivere, in totale contrasto con l’esito del referendum in difesa dell’acqua pubblica, era l’ultima frontiera per far entrare il mercato in ogni sfera dell’esistente.
Nello stesso inverno in cui la cronaca è dominata dagli aumenti delle bollette e dalle tensioni lungo il confine orientale, la politica ci dice che le risorse naturali dei nostri territori che usiamo per lavarci, cucinare, bere, scaldarci, invece che essere gestite e consumate nel modo più efficiente possibile, devono essere messe sul mercato e gestite dal fornitore da noi preferito.
A livello locale abbiamo visto come l’investimento di migliaia di persone per la costruzione della rete gas comunale possa essere stracciato facilmente da una legge (la Legge Madia in questo caso) che obbliga
le aziende municipalizzate ad esternalizzare il lavoro, con conseguenti difficoltà di bilancio.
Il DDL Concorrenza è solo l’ultimo passaggio di una serie di riforme che hanno delegittimato i Comuni come strumenti di democrazia di prossimità e governo del territorio legato ai bisogni della popolazione.
A partire dal 1999, i patti di stabilità e crescita concordati sui trattati di Maastricht e Amsterdam hanno portato in dieci anni al licenziamento di 50mila lavoratori pubblici e all’azzeramento delle capacità di investimento e progettazione degli enti locali. Per di più, a partire dagli anni ’90 i Comuni ha cominciato ad indebitarsi poiché lo strumento principale per finanziare i lavori pubblici a tasso agevolato, la Cassa Depositi e Prestiti, è stato trasformato in una SPA con lo scopo di “aiutare” gli enti locali a valorizzare il patrimonio pubblico da vendere, e privatizzare i servizi pubblici trasformandoli in multiutility collocate in borsa.
A fine 2021 un Comune su 7 è in dissesto finanziario: il buco è di 22,8 miliardi di euro. Se andiamo a contare quanto è aumentato il valore della ricchezza mossa dai PPP (Partenariati Pubblico-Privati, che
gestiscono i servizi comunali) dal 2002 al 2019, notiamo un aumento di 16 miliardi di euro, di cui più del 60% finisce in mani private.
In parole povere negli ultimi trent’anni c’è stata la scelta politica di mettere sul lastrico le istituzioni più vicine ai cittadini, i Comuni, e le risorse collettive della cittadinanza sono state svendute al
mercato. Mentre il mondo sta letteralmente andando a fuoco e i governi si incontrano per fissare degli standard di riduzione delle emissioni, alcuni attori economici possono permettersi di giocare con il costo luce, acqua e gas sulle spalle dei consumatori. Lo stesso PNRR, l’ormai famigerato Piano di aiuti e investimenti per i settori colpiti dalla pandemia, richiede il DDL Concorrenza per essere attivato.
Mobilitarsi per bloccare questo disegno di legge non è utile solamente a ridurre le bollette e ancorare la gestione dei servizi ad un servizio pubblico territoriale (vicino ai cittadini e senza meccanismi di
mercato), ma anche per frenare la cementificazione del territorio che diventa l’ultima “risorsa” in mano ai Comuni per poter far cassa. Di questo ci parlano tanti progetti speculativi, in particolare quelli alle
periferie di città come Mantova.
Ai nostri sindaci dovremmo chiedere un po’ meno di trionfalismo per le politiche o lavori realizzati con i bandi a termine e un po’ più di coraggio nel denunciare una situazione che non permette più ai Comuni di
pianificare le politiche per far fronte ai bisogni della cittadinanza.
Spazio Sociale La Boje!