Giuseppina Rippa, ventottenne mantovana uccisa l’11 settembre del 1943 da un militare nazista, continua ad essere oggetto d’odio per i nostalgici del nazifascismo. La sua figura è particolarmente scomoda per la destra perchè è un simbolo di quell’antifascismo diffuso e civile che, insieme a quello partigiano, contribuì a spezzare l’ingranaggio del regime e dell’occupazione nazista.
‘Pina lavorava come domestica in uno dei palazzi che si affacciano su piazza Martiri di Belfiore. Da lì vide l’esercito nazista, aiutato dalle milizie fasciste, organizzare i camion con i prigionieri stipati per giorni senza cibo né acqua.
Scese in strada per aiutare chi era detenuto sofferente, fregandosene dei fucili puntati, e fu ammazzata da un colpo di pistola mentre allungava dei pezzi di pane.
Questo episodio e la figura di Giuseppina hanno ancora oggi una forza politica dirompente, al contrario di un antifascismo di stato sempre più liturgico ed incapace di parlare a chi vive sulla propria pelle razzismo, sessismo e l’aumento delle disuguaglianze.
Il suo gesto di solidarietà conflittuale è un simbolo di umanità che non sfida solo la società intollerante immaginata da destra e neofascisti, ma anche il razzismo istituzionale su cui si sorregge la “fortezza Europa” che arriva a criminalizzare i gesti di solidarietà con i migranti.
L’imbrattamento della targa in memoria di ‘Pina è un gesto ignobile che non va lasciato impunito, su questo non c’è discussione. Riteniamo però che sia fuorviante accontentarsi di delegare le pratiche antifasciste a meccanismi repressivi come videosorveglianza e denunce. Non ci sono scorciatoie: l’unica strada per fermare i fascismi e le svolte autoritarie dei sistemi politici liberali è quella di una lotta politica per l’accesso ai diritti di tutt* e contro l’aumento delle disuguaglianze, al fianco di chi è totalmente dimenticato dalla politica.