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Per la prima volta in quasi 200 anni di Storia la Bolivia ha una costituzione che include tutti i boliviani e non solamente la minoranza creola. La maggioranza di cittadini che l’ha approvata è stata vastissima, tra il 57 e il 64% dei voti, a scrutinio non ancora terminato. Dopo il Venezuela e l’Ecuador la Bolivia è il terzo paese del Sudamerica (e del mondo) a reggersi su di una Costituzione partecipativa. E il latifondo non esisterà più! Nonostante la netta espressione della volontà popolare l’opposizione reclama di aver vinto nell’Oriente, la cosiddetta Media Luna ricca, i dipartimenti di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija e continua a profilare una lotta di lunga durata per spaccare il paese. Se si guarda ai numeri vi è una differenza importante tra il 75% di “Sì” a La Paz o a Cochabamba e il 70% di “No” di Santa Cruz e Beni, che sfumano però a poco più del 50% a Tarija e Pando ma la verità è che tale differenza non regge più a simulare un paese spaccato.
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Per la prima volta in quasi 200 anni di Storia la Bolivia ha una costituzione che include tutti i boliviani e non solamente la minoranza creola. La maggioranza di cittadini che l’ha approvata è stata vastissima, tra il 57 e il 64% dei voti, a scrutinio non ancora terminato. Dopo il Venezuela e l’Ecuador la Bolivia è il terzo paese del Sudamerica (e del mondo) a reggersi su di una Costituzione partecipativa. E il latifondo non esisterà più! Nonostante la netta espressione della volontà popolare l’opposizione reclama di aver vinto nell’Oriente, la cosiddetta Media Luna ricca, i dipartimenti di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija e continua a profilare una lotta di lunga durata per spaccare il paese. Se si guarda ai numeri vi è una differenza importante tra il 75% di “Sì” a La Paz o a Cochabamba e il 70% di “No” di Santa Cruz e Beni, che sfumano però a poco più del 50% a Tarija e Pando ma la verità è che tale differenza non regge più a simulare un paese spaccato.
Perché la Bolivia, il paese dell’apartheid, era spaccato ieri ma da oggi ha lo strumento, la nuova Costituzione che era alla base del programma politico del MAS (Movimento Al Socialismo) di Evo Morales che permetterà al paese di non essere più spaccato domani. Alla grande maggioranza indigena fino al 1952 non era neanche permesso di votare, ma per la prima volta oggi una Costituzione prende atto e difende le lingue indigene, i costumi, il diritto a mantenere lo stile di vita con dignità e non avere solo un destino servile nelle case, nei campi e nelle miniere dei creoli.
Da oggi vi saranno discriminazioni positive in favore degli indigeni, per permettere il loro inserimento nella vita pubblica e politica e per il riconoscimento della proprietà comune della terra, dell’acqua, delle foreste. Allo stesso modo la Carta include per la prima volta una cultura di genere che garantisce le donne boliviane e profila, nonostante resti per future legislazioni, l’introduzione del diritto sessuale e riproduttivo. Si eleva al rango di diritti umani inviolabili la disponibilità di acqua potabile e altri servizi primari, finora lasciati alla giungla del mercato. Sia l’acqua che gli idrocarburi sono disponibilità esclusiva di tutti i boliviani e sono esclusi da ogni possibile forma di privatizzazione.
Inoltre per la prima volta nella Storia la religione cattolica non è più religione ufficiale e lo Stato si considera indipendente da questa. Come in Venezuela, ma il meccanismo è già stato trionfalmente sperimentato quest’anno da Evo Morales, che potrà ricandidarsi per un secondo periodo, è introdotto il referendum revocatorio, che permetterà ai cittadini di mandare a casa a metà mandato qualunque carica elettiva. La coca infine, che non era neanche nominata dalla vecchia Costituzione, diviene oggi patrimonio culturale del paese, da difendere in nome della coesione sociale e come risorsa naturale genetica e biologica in nome della biodiversità della natura boliviana. La ricerca spasmodica di un paese più giusto per tutti è testimoniata da un dettaglio.

Parallelamente al voto per la Costituzione i boliviani erano chiamati a decidere se l’estensione massima di una proprietà terriera, il latifondo dovesse essere di 5 o 10.000 ettari. Ebbene quasi quattro elettori su cinque, il 78% ha scelto di mettere un limite a 5.000 ettari. Inizia così un processo, che potrebbe durare decenni, al termine del quale il latifondo in Bolivia non esisterà più. Per il momento non saranno toccate le proprietà esistenti ma a due condizioni: che siano effettivamente utilizzate e che il lavoro salariato sia rispettato e non mantenuto in semischiavitù come spesso avviene tutt’ora.
di gennarocarotenuto.it

Un commento

  1. Il Fmln ottiene la maggioranza nelle elezioni legislative
    Il successo elettorale rappresenta un buon biglietto da visita in vista delle presidenziali del 15 marzo

    Il voto per il rinnovo del parlamento e delle amministrazioni comunali (primo appuntamento elettorale del 2009 per il Centro e Sudamerica) apre uno spiraglio per la nascita di un progetto politico alternativo in El Salvador. Le elezioni di domenica scorsa hanno infatti consegnato la maggioranza del paese al Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln), la formazione ex-guerrigliera trasformatasi in partito politico nel 1992.
    Inserita in un contesto come quello centroamericano, dove il vento di cambiamento diffusosi in gran parte del continente sudamericano deve ancora arrivare, la parabola del Fmln e il destino politico del paese sembravano rimanere legati ad una stretta dipendenza dagli Stati Uniti, dal narcotraffico e dalla mancanza di un progetto politico di nuovo stampo. In realtà, i sondaggi precedenti alle elezioni davano il Frente ampiamente in vantaggio su Arena, l’Alleanza Repubblicana Nazionale, partito apertamente vicino all’estrema destra ed erede diretta degli squadroni della morte che per tutti gli anni ’80 seminarono il terrore nel paese grazie anche alle famigerate politiche repressive messe in atto dal tristemente noto maggiore D’Aubuisson. Proprio ai paramilitari, insieme ad Orden, una sorta di polizia politica al servizio del regime, si deve l’uccisione di Monsignor Romero, avvenuta il 24 Marzo 1980 mentre stava celebrando la messa.
    Il risultato elettorale è stato in ogni caso sorprendente: dopo 20 anni trascorsi con la destra al governo, il Frente ha conquistato 37 seggi in parlamento contro i 33 di Arena (su un totale di 84) oltre al successo in quasi 180 comuni su 262. In particolare, il Fmln è riuscito a mantenere la città di Santa Tecla, una delle più importanti del paese dopo la capitale San Salvador, e soprattutto ha conquistato Izalco, roccaforte arenera dove l’Alleanza ha sempre inaugurato le sue campagne elettorali fin dal 1982. L’unico aspetto negativo, peraltro previsto, è stata la conquista della capitale San Salvador da parte di Arena, dopo ben 12 anni di amministrazioni appannaggio del Frente: il sindaco sarà Norman Quijano, deputato storico della destra, dopo che nella precedente tornata elettorale si era imposta Violeta Menijvar per soli 44 voti di scarto, ripresentatasi di nuovo in questa circostanza e battuta.
    Anche le elezioni del 2003 avevano visto prevalere il Frente sulla destra, ma quello che era stato ritenuto come un segno positivo dell’elettorato nei confronti degli ex-guerriglieri in vista delle presidenziali del 2006 fu ampiamente smentito: Tony Saca, candidato di Arena e attuale presidente del paese, inflisse una umiliante sconfitta al rappresentante dell’Fmln Shafik Handal, distaccato di ben 22 punti percentuali. In quel caso la situazione era molto diversa rispetto al clima in cui i salvadoregni andranno a votare il prossimo 15 Marzo per eleggere il nuovo presidente. In quella circostanza l’elettorato era stato disorientato dalla scelta dura e pura del Frente: Handal, peraltro dirigente stimatissimo nel paese, come ex-guerrigliero aveva finito per allontanare dal voto gli elettori più moderati. Stavolta però le cose potrebbero cambiare. Innanzitutto Arena ha scelto il suo candidato, Rodrigo Avila, con molto ritardo, sia per essersi concentrata molto nel tentativo (peraltro andato a buon fine) di riconquistare San Salvador, sia per la continua girandola di nomi, scelti e poi presto bruciati, da opporre al Frente, è il caso della vicepresidente di Saca Ana Vilma de Escobar. Dall’altro lato, il Fmnl aveva già scelto da tempo la sua strategia: correrà per la presidenza Mauricio Funes, ex giornalista, indipendente e non legato all’ala più politicizzata del Frente, mentre come vice è stato candidato Salvador Sánchez Cerén, ex guerrigliero e uomo di partito, molto amico dello stesso Handal, scomparso quasi tre anni fa. Dal ritorno della democrazia in El Salvador il Fmln non è mai riuscito a vincere le presidenziali, ma il prossimo 15 marzo potrebbe essere l’occasione buona, nonostante la solita e ripetitiva propaganda della destra ogni volta che un paese del continente latinoamericano è sulla soglia di una svolta significativa: le accuse di narcotraffico, di legami con le Farc e della direzione occulta della campagna elettorale da parte di Chávez.
    Il cambiamento del piccolo El Salvador potrebbe dare la spinta giusta anche agli altri paesi vicini del Centroamerica.

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